«Non c’è alternativa, servono tagli più
drastici o sarà il disastro»
Sabato 25
Novembre 2000
Corriere della sera
DAL NOSTRO INVIATO
L’AJA - «Qui si sta facendo una fatica enorme per mettersi d’accordo su come ridurre
del 5% le emissioni di gas serra, e posso capire che il primo passo verso un nuovo modo di
sviluppo è molto difficile. Ma come scienziato devo dire che, se si vorrà stabilizzare
il clima e scongiurare le disastrose conseguenze dell’effetto serra provocato dall’uomo,
sarà necessario arrivare a tagli drastici, del 60-70%». Il maggior esperto mondiale di
cambiamenti climatici, il chimico e fisico dell’atmosfera americano Robert Watson, capo
carismatico di un esercito di tremila scienziati riuniti nell’Ipcc, il Comitato
intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, lascia cadere la sua
sentenza sul summit mondiale che ha scontentato tutti: politici, scienziati e
ambientalisti.
Se l’obiettivo sicurezza del pianeta è così alto, e la fatica per fare il primo
passo così enorme, che speranze abbiamo?
«Non è che non abbiamo speranze. Non abbiamo altra via. Dobbiamo percorrere questa
strada delle riduzioni progressive. Se, finito il congresso dell’Aja, i Paesi tornano a
casa e non ratificano l’accordo, nel giro di pochi anni le emissioni di gas serra
saliranno del 10-20% e le conseguenze del cambiamento climatico saranno sempre più gravi.
Allora, a questo punto, io dico: facciamolo questo primo passo, non importa se le
riduzioni effettive saranno del 5% o del 3% , ma almeno avremo superato lo stallo. E poi i
passi successivi saranno più facili».
Lei pensa che i passi successivi saranno più facili perché la responsabilità dell’uomo
nel cambiamento climatico sarà sempre più evidente?
«Come ho detto, per noi dell’Ipcc il problema non è più se il clima cambierà a
causa delle attività umane. Noi ormai diamo questo fatto per scontato. Ma piuttosto
quanto grande e quanto veloce sarà il cambiamento e come si manifesterà nel dettaglio
regionale. Per noi è anche chiaro che il cambiamento avrà conseguenze negative in molti
settori socio-economici: agricoltura, pesca, risorse di acqua, insediamenti umani, salute,
ecosistemi naturali, colpendo più pesantemente i Paesi in via di sviluppo».
Chi vi dà la certezza che la colpa è dell’uomo e non dei fattori naturali che, da
sempre, determinano i cambiamenti del clima?
«Dall’inizio dell’era industriale ad oggi le attività umane hanno fatto crescere
i livelli dell’anidride carbonica, cioè del principale fra i gas serra, del 33%; quelli
del metano del 100%, quelli dell’ossido di azoto del 15%. Oggi nell’atmosfera c’è
più anidride carbonica di quanta ve ne sia stata negli ultimi 420.000 anni, come abbiamo
stabilito analizzando i campioni di aria fossile prelevati nelle carote di ghiacci. I
nostri modelli, che simulano il comportamento dell’atmosfera, ci dicono che questi
aumenti sono sufficienti a far crescere le temperature medie e ad alterare il clima, nella
misura che effettivamente riscontriamo oggi. Gli stessi modelli escludono che i
cambiamenti osservati siano attribuibili a fattori naturali come l’attività solare o
quella vulcanica».
E se i governi fossero così ciechi da andare avanti, che succederà al pianeta?
«Per la fine del secolo i livelli di anidride carbonica potrebbero triplicare, le
temperature medie aumentare fino a 6 gradi, i processi di evaporazione e di precipitazione
diventare più veloci e marcati. Avremmo piogge molto più intense alle alte latitudini
boreali, per esempio Nord Stati Uniti e Nord Europa, e siccità in quelle medio-basse,
come nel Sud Stati Uniti e Mediterraneo. Il livello dei mari, a seconda dei casi
crescerebbe da 20 a 90 cm. La frequenza degli eventi estremi crescerebbe. In una certa
misura, alcuni fenomeni avversi di questo tipo si manifestano già ora».
E quando, a un certo punto, i governi cominceranno a fare sul serio con i tagli dei gas
serra, saremo ancora in tempo?
«I tempi di persistenza dei gas serra nell’atmosfera sono lunghi, nel caso dell’anidride
carbonica, circa un secolo. Più le concentrazioni saranno alte, più tempo ci vorrà per
la normalizzazione, non decenni, ma secoli. Quindi, prima si comincia, meglio è. Altrimenti
bisogna affrontare gli oneri della mitigazione degli eventi estremi, cosa che i Paesi
ricchi oggi possono fare, anche se a caro prezzo; mentre quelli poveri restano
completamente esposti».
-
F.F.M.
Sabato 25 Novembre 2000
Corriere della sera
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