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documento:

Piano Nazionale sulla Biodiversità"

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Comitato di consulenza per la Biodiversità e la Bioetica
MINISTERO DELL'AMBIENTE -
(D.M. 97/568 DEL 15 MAGGIO 1997).

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Introduzione
Tra le varie forme di ricchezza di un Paese (materiale, culturale, biologica), quella biologica (biodiversità) è stata finora sottovalutata. Tale ricchezza consiste nell'enorme numero di informazioni genetiche possedute da ciascuna specie, anche la più piccola.

Premessa
L'articolo 7 della Convenzione sulla Diversità Biologica (Rio de Janeiro) richiede che i Paesi contraenti "identifichino le componenti della biodiversità importanti per la sua conservazione e il suo uso sostenibile e ne effettuino il monitoraggio, attraverso campionamenti od altre tecniche"

Conoscenza e monitoraggio
Conoscenza e monitoraggio sono alla base della conservazione e della gestione del patrimonio biologico

L'inventario.
Consiste nel rilevamento, la sistematizzazione e la mappatura del patrimonio naturale a livello di geni, specie, popolazioni, habitat, biotopi, ecosistemi, paesaggi, definendone le componenti, gli assetti strutturali e i processi funzionali.

Monitoraggio.
Consiste nella sorveglianza regolare dell'andamento dei parametri indicatori dello stato e dei processi, finalizzata alla valutazione delle deviazioni da uno standard determinato.

Situazione attuale in Italia
La conoscenza sistematica del patrimonio naturale (biologico e culturale) del Paese è stata riconosciuta quale condizione fondamentale per la politica nazionale riguardante le aree naturali protette dalla legge quadro del settore.

Obiettivo 1
Conoscenza, monitoraggio ed accesso alle informazioni
Realizzazione della Carta della Natura, quale sistema di conoscenze (inventario) del patrimonio naturale (biodiversità) del paese - Realizzazione del Centro Nazionale per la Conoscenza e il Monitoraggio della Biodiversità.

Obiettivo 2
Ricerca di base e applicata
Realizzazione di un programma di ricerca rilevando le lacune e stabilendo le priorità riguardanti la conoscenza della biodiversità della sua conservazione ed uso sostenibile. Promozione ed attivazione della ricerca, conservazione ed uso sostenibile delle risorse naturali.

Obiettivo 3
Educazione e Sensibilizzazione
La scarsa attenzione alle problematiche ambientali, l'utilizzo di pratiche e tecniche di produzione con caratteri fortemente incompatibili con uno sviluppo sostenibile, la distruzione delle tradizioni e degli usi e costumi locali generano una erosione della biodiversità nazionale. Tali comportamenti sono spesso generati da una formazione culturale tanto radicata quanto distorta.
Il Ministero dell'Ambiente, promuove una campagna informativa sulla biodiversità e sul suo uso sostenibile rivolta al pubblico. Tale campagna è finalizzata alla promozione della conoscenza di importanti temi, quali: il significato della biodiversità da un punto di vista scientifico ed ecologico, i pericoli a cui è sottoposta, la sua conservazione e valorizzazione, il suo uso sostenibile


Obiettivo 4
Conservazione in situ

La pianificazione territoriale ha un ruolo fondamentale nella conservazione ed utilizzazione sostenibile della biodiversità, sia a livello strategico, perché evidenzia il collegamento tra i livelli di governo del territorio e le differenti politiche di settore, sia a livello locale e regionale poiché mette in luce i vantaggi ottenibili dall'utilizzazione sostenibile del patrimonio naturale attraverso la collaborazione delle istituzioni e degli operatori locali. La pianificazione dovrebbe contribuire all'utilizzazione sostenibile del territorio attraverso una equilibrata distribuzione delle attività e ad alleviare l'eccessiva pressione esercitata su alcune zone, tenendo conto delle peculiarità e fragilità ecologiche.

Obiettivo 5
Promozione delle attività compatibili

Le tecniche di coltivazione, basate sull'uso di composti chimici e la meccanizzazione non appropriata, e le tecniche di selezione, basate sulla produttività ad ogni costo, hanno mostrato chiaramente i loro limiti. Su queste considerazioni nei Paesi sviluppati è emersa l'esigenza di dare spazio ad una agricoltura e ad una zootecnia a bassi costi e bassi impatti negativi, cosa che implica necessariamente il recupero della variabilità genetica
Per quanto riguarda l'agricoltura. saranno predisposti incentivi per diffondere le tecniche dell'agricoltura biologica, dovunque sia possibile e, in alternativa, sostenere l'agricoltura integrata, riducendo al minimo indispensabile l'uso dei composti chimici e favorire l'uso di macchine agricole che minimizzino l'impatto negativo sul terreno; intervenire per ridurre l'impatto da sovraccarico dei pascoli, da allevamenti intensivi, da monocolture; difendere le zone umide e le brughiere; sostenere il ruolo che le comunità rurali hanno nella creazione e mantenimento degli habitat seminaturali e la validità delle pratiche estensive, talvolta in aree marginali, per la conservazione della biodiversità.

Obiettivo 6
Contenimento dei fattori di rischio

L'inquinamento  non conosce frontiere e sulle ali del vento e nelle correnti delle acque si trasferisce anche là dove non viene prodotto. Pertanto accanto a disposizioni specifiche per particolari aree, va attuata una politica globale per la conservazione della biodiversità su tutto il territorio, attraverso il controllo delle politiche territoriali, dei piani di settore (urbanistici, paesistici ecc.), della localizzazione e realizzazione delle infrastrutture di servizio e di trasporto, delle tecnologie adottate per la produzione di servizi, perché vengano attuati nel rispetto del principio della conservazione della biodiversità.

Obiettivo 7
Conservazione ex-situ

Oltre a mantenere le risorse genetiche esistenti, la conservazione è funzionale anche ad altri importanti obiettivi quali, sviluppare nuove cultivar, razze e ceppi durante i programmi di miglioramento genetico. Si dovrà procedere alla sollecita definizione di una legge quadro nazionale per la difesa delle specie autoctone ed arbustive, al fine di preservare il patrimonio genetico delle realtà locali e per evitare i fenomeni di inquinamento genetico attualmente in corso.

Obiettivo 8
Biotecnologie e sicurezza

Vanno organizzati servizi adeguati in particolare presso le ANPA e le ARPA che permettano di individuare gli episodi di rilascio di OGM non notificati, la diffusione nell'ambiente dei geni introdotti nelle popolazioni di piante coltivate e di microrganismi del terreno agricolo ed i relativi effetti sulla biodiversità. Per questo dovrebbe essere prevista la istituzione di laboratori appositi almeno a livello regionale che agiscano di concerto con i NAS ed il servizio repressione frodi.
Devono essere studiate ed attuate politiche che permettano di impedire l'uso e la vendita sul territorio nazionale di OGM o loro derivati di cui sia dimostrata una azione diretta o indiretta negativa sulla biodiversità anche a prescindere dalla presenza/assenza di danni alla salute.

Obiettivo 9
Cooperazione internazionale ed ecodiplomazia

Fino ad una ventina di anni fa infatti il miglioramento genetico mirava all'ottenimento di genotipi capaci di utilizzare in modo ottimale la produzione, l'energia e i prodotti chimici impiegati. Il tentativo era di svincolare la produzione dal contesto ambientale. Questo ha portato ad una riduzione drastica del numero di genotipi coltivati sul pianeta ed al loro adeguamento ad economie sufficientemente ricche da potersi permettere costi alti in termini di energia e di chimica. Negli anni '90, i lati negativi di questo tipo di impostazione hanno cominciato a venire alla luce, manifestandosi attraverso il costante aumento dei costi monetari ed ambientali per unità di prodotto causato dall'aumento di input chimici ed energetici.

 

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Introduzione

Tra le varie forme di ricchezza di un Paese (materiale, culturale, biologica), quella biologica (biodiversità) è stata finora sottovalutata. Tale ricchezza consiste nell'enorme numero di informazioni genetiche possedute da ciascuna specie, anche la più piccola.

Sebbene l'estinzione delle specie sia un fenomeno naturale, in quanto legato alla evoluzione di nuove specie, l'intervento dell'uomo, in particolare con deforestazione, urbanizzazione selvag-gia e tecnologie non appropriate, ha amplificato questo fenomeno di migliaia di volte. Le con-seguenze di questa erosione della biodiversità saranno certamente gravissime in quanto le nu-merose specie di animali, di piante e di microrganismi, in gran parte ancora da scoprire, sono fonte potenziale di una ricchezza da utilizzare sotto forma di sostanze medicinali, alimenti e altri prodotti di importanza sociale ed economica.

La conservazione della biodiversità è un imperativo etico perché rappresenta non solo un bene da difendere e da trasmettere alle generazioni future per il miglioramento della qualità della vita, ma anche un bene in sé stesso, che ha il diritto alla propria esistenza.

Per conservare la biodiversità e garantire una equa distribuzione dei vantaggi derivanti dalla biodiversità stessa tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, nel corso della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 è stata steso il testo della Convenzione sulla Diversità Biologica, che il nostro Paese ha sottoscritto nel 1993 e a cui hanno aderito finora circa 170 Paesi. Il Piano, che qui di seguito viene presentato, è un atto dovuto in ottemperanza agli impegni assunti con la sottoscrizione della Convenzione, con la successiva legge 14 febbraio 1994 n.124 "Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla biodiversità, con annessi, fatta a Rio de Janeiro il 15 giugno 1992" e con la successiva Deliberazione 16 marzo 1994 del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica in "Approvazione delle linee strategiche per l'attuazione della Convenzione di Rio de Janeiro e per la redazione del Piano Nazionale sulla Biodiversità".

Il Piano riprende i contenuti del lavoro svolto dall'Accademia delle Scienze, che vengono presentati in un fascicolo a sé con il titolo di "Base conoscitiva propedeutica".

Il Piano sarà finanziato dal CIPE, oltre che da altre fonti indicate di volta in volta e richiede per la sua attuazione in particolare il diretto impegno di ANPA e delle ARPA e il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni .

Il Comitato di Consulenza per la Biodiversità e la Bioetica
Ministero dell'Ambiente
Roma, 28 ottobre 1998

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Premessa

L'articolo 7 della Convenzione sulla Diversità Biologica (Rio de Janeiro) richiede che i Paesi contraenti "identifichino le componenti della biodiversità importanti per la sua conservazione e il suo uso sostenibile e ne effettuino il monitoraggio, attraverso campionamenti od altre tecniche"

Le parti sono inoltre chiamate a "identificare i processi e le categorie di attività che hanno o possono avere impatti negativi significativi sulla conservazione e sull'uso sostenibile della biodiversità, monitorare i loro effetti " e a " detenere ed organizzare i dati derivati dalla conoscen-za e dal monitoraggio".

Gli articoli 16, 17 e 18 della Convenzione indicano che le Parti si impegnano anche a promuovere la condivisione, l'accesso e lo scambio delle informazioni relative alla, diversità biologica. Per ottemperare ciò, nell'articolo 18 è anche previsto che le Parti sviluppino un meccanismo di "Clearing House" organizzato come rete di nodi nazionali.

Queste attività porteranno all'integrazione dei dati esistenti, alla generazione di nuovi dati e alla loro organizzazione per assicurare che le informazioni che ne derivano siano utili e facilmente accessibili.

 

Definizioni.

L'inventario.

Consiste nel rilevamento, la sistematizzazione e la mappatura del patrimonio naturale a livello di geni, specie, popolazioni, habitat, biotopi, ecosistemi, paesaggi, definendone le componenti, gli assetti strutturali e i processi funzionali.

L'inventario consente di conoscere lo stato di conservazione della biodiversità attraverso il monitoraggio di parametri chiave e bioindicatori e fornisce inoltre le informazioni di base per la valutazione dei cambiamenti negli ecosistemi, naturali o causati dall'uomo.

I livelli di organizzazione biologica variano nello spazio e nel tempo per quanto concerne la composizione e l'abbondanza relativa delle componenti, le strutture e le dinamiche. L'inventario quindi non potrà essere definitivo, in quanto ci saranno sempre nuove aggiunte, variazioni, scomparsa di entità.

L'uso del termine inventario, sebbene possa sembrare riduttivo rispetto ai contenuti esposti, si è tuttavia consolidato nelle sedi negoziali internazionali concernenti la biodiversità e nelle rela-tive strategie di attuazione e nella specificata ampia accezione sarà utilizzato anche in questo contesto.

Il monitoraggio.

Consiste nella sorveglianza regolare dell'andamento dei parametri indicatori dello stato e dei processi, finalizzata alla valutazione delle deviazioni da uno standard determinato.

Il monitoraggio è sempre orientato; nel caso della biodiversità è finalizzato a permettere la co-noscenza tempestiva delle variazioni.

L'efficacia del monitoraggio dipende dai seguenti fattori:

  • individuazione delle scale temporali e spaziali di indagine congrue con le variazioni spazio temporali dei livelli di organizzazione monitorati
  • uso di indicatori appropriati per fornire le informazioni richieste e illustrare le variazioni inte-ressanti
  • uso di metodologie appropriate ed efficienti per lo studio o la gestione del sito in
  • oggetto o di siti analoghi
  • standardizzazione dei criteri di raccolta dei dati e delle analisi statistiche
  • disponibilità e organizzazione dei dati esistenti
  • integrazione di dati biotici con dati abiotici ed antropici in una struttura appropriata.
  • esistenza di sistemi di classificazione degli oggetti di studio

Il Clearing-House Mechanism è una rete di diffusione e di comunicazione costituita dalle Parti firmatarie e dai loro Partner. Tale meccanismo ha anche lo scopo di facilitare collaborazioni, tra le quali quelle scientifiche e tecniche, in modo da conseguire gli obiettivi degli articoli della Convenzione sulla Diversità Biologica.

 

Conoscenza, monitoraggio e conservazione della biodiversità

Conoscenza e monitoraggio sono alla base della conservazione e della gestione del patrimonio biologico: gli inventari forniscono le conoscenze di base ed il monitoraggio misura le variazioni.

La gestione sarà orientata dal monitoraggio per:

  • sviluppare strategie, piani e programmi
  • integrare la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità con politiche, piani e pro-grammi
  • effettuare la valutazione dell'impatto ambientale

Tali attività di conservazione della biodiversità sono spesso basate su informazioni inadeguate per le seguenti ragioni:

  • i dati necessari sono incompleti, non aggiornati
  • i dati sono in un formato non facilmente utilizzabile da chi deve prendere le decisioni
  • i dati non sono correttamente interpretati

 

Situazione attuale in Italia

La conoscenza sistematica del patrimonio naturale (biologico e culturale) del Paese è stata riconosciuta quale condizione fondamentale per la politica nazionale riguardante le aree naturali protette dalla legge quadro del settore. La legge individua nella "Carta della Natura" lo strumento di organizzazione delle conoscenze.

La Carta costituisce pertanto il sistema conoscitivo dell'ambiente attraverso il quale le cono-scenze disponibili sono acquisite in maniera sistematica ed organizzata e vengono integrate con nuove conoscenze. La Carta si configura quindi come strumento di organizzazione ed integra-zione, con caratteristiche evolutive temporali.

Le conoscenze dovranno essere restituite ai diversi fruitori in forma organica ed aggiornata, attraverso uno specifico sistema informativo diffuso nel territorio, collegato ed integrato al nodo italiano del Clearing-House Mechanism.

Si tratta di un sistema sia di produzione e diffusione delle informazioni, sia di coordinamento delle informazioni disponibili presso i diversi soggetti, (istituzioni, enti di ricerca, organismi non governativi), sul modello dei Clearing-House Mechanism delle Convenzioni Globali (Biodiversità, Desertificazione) o Centri Nazionali dì informazione sulla biodiversità individua-ti nella "Strategia Globale per la Biodiversità" della IUCN ed UNEP.

La "Carta della Natura" allo stato attuale non corrisponde però appieno a questo modello, in quanto necessita di essere trasformata da progetto speciale in "Centro" permanente, consolidando e sviluppando le proprie caratteristiche di rete integrata di conoscenze e monitoraggio.

La rete sarà articolata in un centro nazionale che comprende l'osservatorio previsto nelle Linee Strategiche del CIPE e in centri locali, sul citato modello IUCN ed UNEP, presso le Regioni, gli Enti Parco Nazionale, i centri di ricerca, le ONG.

Il Centro Nazionale sarà inoltre collegato con centri analoghi internazionali.

Tuttavia, ai fini della conservazione degli ambienti e delle loro componenti specifiche, prese nella loro globalità, si deve rilevare che l'attuale quadro giuridico non considera, fatte poche eccezioni, i principali habitat marini ed una significativa quantità di specie animali e vegetali tipi-che di tali ambienti. Tale lacuna è da attribuirsi ad una consapevole decisione del Legislatore comunitario che non garantisce adeguata protezione ad un comparto ambientale europeo il cui valore non può essere in alcun modo considerato inferiore a quello degli ambienti terrestri, d'acqua dolce e costieri che invece sono compresi nella Direttiva. Questa carenza si riflette anche all'interno del network delle S.C.A (Special Conservation Areas) di Natura 2000 e quindi, per quanto riguarda il nostro Paese, nel progetto Bioitaly.

Per converso la conservazione degli habitat marini e di molte specie del Mediterraneo è con-templata in un crescente numero di strumenti giuridici internazionali, tra i quali vanno ricordati, in primo luogo, la Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e degli habitat naturali europei (1979), la Convenzione di Bonn sulla conservazione delle specie migratrici (1983) e la Convenzione sulla Diversità Biologica (1992), nell'ambito della quale riveste parti-colare rilievo, per quel che concerne la diversità marina e costiera, il Mandato di Djakarta (1995).

Per quanto riguarda specificatamente la regione del bacino del Mediterraneo e quindi il nostro Paese, occorre ricordate il Protocollo sulle aree specialmente protette e sulla diversità biologica nel Mediterraneo della Convenzione di Barcellona (10 giugno 1995) e più specifici strumenti , quali ad esempio il recente Accordo per la Conservazione dei Cetacei del Mar Morto, Mar Mediterraneo e Aree Atlantiche Contigue (ACCOBAMS, Monaco 24 novembre 1996), predi-sposto sotto gli auspici della Convenzione di Bonn. In particolare il succitato protocollo della Convenzione di Barcellona, che dovrebbe entrare in vigore tra breve termine, prevede tra gli obblighi delle parti contraenti l'adozione di misure necessarie alla protezione, conservazione e gestione delle specie di flora e fauna mediterranee minacciate o in pericolo, e, in modo partico-lare, l'identificazione e la compilazione di liste nazionali di specie minacciate e in pericolo ed il conferimento ad esse di status di specie protette.

Alla luce di questa situazione, si promuoveranno iniziative finalizzate a

- ordinare ed integrare sia la normativa internazionale, sia quella nazionale che da essa discende,

- garantire un supporto scientifico, attraverso l'attivazione di programmi di ricerca mirati anzi-ché ancillari per tutelare la diversità biologica di quella che viene considerata una delle più ric-che e pregiate regioni marine del Pianeta.

Per condividere il patrimonio di conoscenza accumulato in Italia con tutta la comunità scientifica mondiale, con i decisori nazionali ed internazionali e genericamente con la collettività, tutte le informazioni, le iniziative e le azioni relative alla diversità biologica in Italia, incluse le infor-mazioni sulla biodiversità straniera detenute in Italia, andranno disseminate tramite il nodo na-zionale della rete del Clearing-House Mechanism della Convenzione sulla Diversità Biologica.

 

Obiettivo 1
Conoscenza, monitoraggio ed accesso alle informazioni

Azione 1.1 - Realizzazione della Carta della Natura, quale sistema di conoscenze (inventario) del patrimonio naturale (biodiversità) del paese con edizioni periodiche aggiornate della Carta. Le conoscenze dovranno riguardare la valutazione dello stato di conservazione della biodiversità, le aree critiche e sensibili, le attività che possono produrre impatti negativi sulla biodiversità e le pressioni in atto. Dovrà altresì essere sviluppata la parte relativa alle acque costiere, con l'indicazione delle informazioni relative alle principali biocenosi e ai siti di interesse per la presenza di specie protette e/o sensibili.

 

Azione 1.2 - Realizzazione del Centro Nazionale per la Conoscenza e il Monitoraggio della Biodiversità.

Il Centro sarà realizzato presso l'ANPA ed assolverà alle seguenti funzioni:

  • coordinamento dei centri regionali e locali e delle collezioni
  • inventario
  • rete di banche dati coordinate con il sistema informativo
  • monitoraggio

 

Azione 1.3 - Realizzazione di una rete di informazioni, nazionale, regionale e locale tra istituzioni, centri di ricerca e organismi non governativi per il flusso delle informazioni. La rete avrà il nodo centrale presso il Centro Nazionale sulla Biodiversità, avvalendosi del sistema informativo della Carta della Natura e sarà coordinata con le reti internazionali (Agenzia Europea dell'Ambiente, UNEP, World Conservation Monitoring Centre WCMC, CGIAR, ... )

In collaborazione con le autorità competenti si dovranno utilizzare i demani forestali statali e regionali come aree di monitoraggio permanenti della fauna selvatica locale. Con il coordinamento dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (INFS) e le autorità gestionali dei parchi e delle aree naturali protette statali e regionali, compresi i demani boschivi, si attuerà un piano di monitoraggio permanente della fauna selvatica del Paese.

 

Azione 1.4 - Sviluppo del nodo Italiano del Clearing-House Mechanism della Convenzione sulla Diversità Biologica, avvalendosi ed integrando quanto già realizzato dall'ENEA per conto del Ministero dell'Ambiente. L'ENEA, svilupperà ed integrerà ulteriormente quanto già realiz-zato, coinvolgendo, al fine di accrescere la quantità di informazioni disponibili, di tutti i deten-tori di dati e informazioni (pubblici e non) nel meccanismo di Clearing-House Italiano ed inte-grandolo ulteriormente con quello della Convenzione.

 

Strumenti

Utilizzazione delle risorse previste dalla legge 394/91 per la Carta della Natura e delle risorse previste dalla legge 344/97

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 2
Ricerca di base e applicata

Azione 2.1 - Realizzazione di un programma di ricerca rilevando le lacune e stabilendo le priorità riguardanti la conoscenza della biodiversità della sua conservazione ed uso sostenibile. Soggetti di questa ricerca saranno sia gli organismi scientifici (Università, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Centrale Ricerca Applicata al Mare ) che gli organismi non governativi e le altre strutture di ricerca scientifica collegate ad enti ed istituzioni operanti nel campo della biodiversità.

Azione 2. 2 - Promozione ed attivazione della ricerca (di base ed applicata), nell'ambito delle scienze della natura e della pianificazione, conservazione, restauro/riabilitazione ed uso sostenibile delle risorse naturali.

Azione 2. 3 - Promozione ed attivazione della ricerca (di base ed applicata) nell'ambito delle scienze sociali e delle relative reciproche connessioni tra i processi sociali e quelli naturali.

Azione 2.4 - Promozione ed attivazione della ricerca (di base ed applicata) relativamente agli aspetti della cultura materiale, all'etica della conservazione e all'uso sostenibile della biodiversità.

Azione 2.5 - Promozione ed attivazione della ricerca (di base ed applicata) nell'ambito della cooperazione con i Paesi in Via di Sviluppo.

 

Strumenti

Utilizzazione delle risorse del Piano stralcio di Tutela Ambientale.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Obiettivo 3
Educazione e Sensibilizzazione

Premessa

La scarsa attenzione alle problematiche ambientali, l'utilizzo di pratiche e tecniche di produzione con caratteri fortemente incompatibili con uno sviluppo sostenibile, la distruzione delle tradizioni e degli usi e costumi locali generano una erosione della biodiversità nazionale. Tali comportamenti sono spesso generati da una formazione culturale tanto radicata quanto distorta. Pertanto l'attuazione di una strategia volta a promuovere l'uso sostenibile e la conservazione della biodiversità, in linea con i principi espressi negli articoli 6, 12, 13 , 17 e 18 della CBD, è scarsamente praticabile se tutte le componenti coinvolte, anche a livello individuale, non prendono coscienza degli effetti causati dai loro comportamenti sulle varie componenti della diversità biologica (naturalistica, genetica, economica, sociale e culturale). L'attuazione di politiche di uso sostenibile devono quindi necessariamente essere coadiuvate anche da programmi di breve, medio e lungo termine votati alla creazione e diffusione di una coscienza nazionale volta all'uso sostenibile delle risorse ambientali. Tali programmi vanno articolati in modo da raggiun-gere i diversi strati della popolazione, con l'obiettivo da far nascere una nuova gerarchia di valori e di orientare gusti e consumi. Pertanto iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica andranno rivolte: al grande pubblico, con il coinvolgimento delle ONG che sono in grado di svolgere un ruolo importante su questo piano; alla popolazione scolastica a tutti i livelli, sia con programmi di formazione culturale, sia con programmi di formazione tecnico-scientifica delle risorse umane. In questo modo sarà possibile legare la consapevolezza della necessità dell'uso sostenibile della biodiversità (vedi punto 5) con la possibilità di interessanti sbocchi professionali. Allo scopo di meglio informare e sensibilizzare non solo gli utenti nazionali, ma anche quelli internazionali, tutte queste azioni andranno coordinate in collaborazione con il nodo italiano del Clearing-House Mechanism.

 

Obiettivo 3.1 - Educazione alla biodiversità

 

Azione 3.1.1 - Interventi sul sistema scolastico.

Il Ministero dell'Ambiente promuove, in accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione, una campagna di educazione ambientale rivolta alle scuole sul tema della biodiversità.

La campagna dovrà essere caratterizzata da una efficace strategia di diffusione dell'educazione nelle scuole; da una serie di materiali prodotti in collaborazione con enti pubblici, esperti, operatori del settore e associazioni ambientaliste; da un prospetto di possibili azioni da svolgere a livello locale; da corsi rivolti agli insegnanti.

Nella campagna per la biodiversità occorre rivedere sia i metodi che i concetti finora utilizzati. E' fondamentale associare agli interventi educativi la realizzazione di azioni dimostrative sul territorio finalizzate, per esempio, all'uso e alla valorizzazione delle varietà autoctone di specie orticole e fruttifere all'interno di giardini/orti scolastici e sottolineare il rapporto tra diversità biologica e diversità culturale, per esempio attraverso l'educazione al gusto dei cibi tradizionali e locali. Nella progettazione, creazione e manutenzione degli spazi verdi, nonché nel recupero ambientale, vanno coinvolti anche gli istituti scolastici.

Nella realizzazione della campagna per la biodiversità nella scuola saranno coinvolti specialisti della comunicazione sociale. Per la realizzazione dei materiali didattici e dell'organizzazione della campagna si ricorrerà a bando pubblico.

 

Azione 3.1.2 - Centri per la biodiversità

Il Ministero dell'Ambiente individuerà, in collaborazione con le Regioni, una rete di Centri per la Biodiversità che dovranno svolgere funzioni di verifica e di esperienza sul campo (vedi punto 7). Tali centri, da realizzarsi all'interno di parchi e aree protette, aree demaniali forestali regionali e statali, aziende agricole, orti e giardini botanici, musei naturalistici, acquari, erbari, saranno individuati mediante apposito bando e verranno dotati del materiale didattico di cui al punto 3.1.1 e messi nelle condizioni di sviluppare materiale e percorsi didattici legati alle specificità degli ecosistemi locali. Tutte le attività promosse e/o realizzate dai centri dovranno trovare adeguato spazio all'interno del nodo italiano del Clearing-House Mechanism.

 

Azione 3.1.3 - Gruppo di lavoro

I materiali didattici di cui al punto 3.1.1, la realizzazione e lo sviluppo della campagna, il funzionamento dei centri di cui al punto 3.1.2, dovranno essere sottoposti alla supervisione di un Gruppo di Lavoro sulla Educazione alla Biodiversità, coordinato dal Ministero dell'Ambiente, cui partecipano esperti indicati dal Ministero dell'Ambiente, dal Ministero della Pubblica Istruzione, dal MURST e dal Ministero per le Politiche Agricole. Tra questi ci saranno anche esperti del "Centro Nazionale per la biodiversità" di cui al punto 1 ed esperti legati al Clearing House Mechanism. Tra i compiti di questo gruppo di lavoro vi sarà anche il raccordo tra le azioni di educazione alla biodiversità e i progetti già in corso in tema di educazione ambientale a livello nazionale (ANDREA - Archivio Nazionale di Documentazione e Ricerca per l'Educazione Ambientale; ecc.) e regionale.

 

Obiettivo 3.2 - Formazione

 

Azione 3.2.1 - Formazione professionale

Il Ministero dell'Ambiente, in. accordo con il dettato della Legge 344/97 Art. 1 e in collaborazione con il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, include la messa a punto di corsi per la formazione di profili professionali finalizzati alla conservazione, al monitoraggio, alla gestione e alla valorizzazione della biodiversità tra le proprie iniziative a supporto delle amministrazioni pubbliche nel campo della promozione di figure professionali adeguate alla progettazione di interventi ambientali. In tali corsi verranno anche formati tecnici specializzati per programmi di cooperazione internazionale (vedi punto 9). Saranno anche previsti programmi per la formazione di tecnici dei paesi in via di sviluppo coperti da opportuni strumenti finanziari. Tali programmi dovranno essere collegati con le attività sul territorio e con quelle di ricerca finalizzata.

 

Azione 3.2.2 - Istruzione superiore

Il Ministero dell'Ambiente, di concerto con il Ministero dell'Università e della Ricerca Scienti-fica e Tecnologica, promuove una serie di azioni finalizzate alla introduzione, nei curricula di studi universitari di corsi di laurea differenti (Scienze Economiche, Giurisprudenza, Ingegneria, Scienze Biologiche, Naturali, Ambientali ecc.), dei temi relativi alla diversità biologica, ai pro-cessi di erosione in corso, alle metodologie di monitoraggio, di conservazione e di valorizzazione. Tali temi infatti oggi appaiono scarsamente presenti o del tutto assenti nei programmi di molti corsi di laurea. Il Gruppo di Lavoro "Educazione alla Biodiversità", di cui al punto 3.1.3 si fa promotore di proposte specifiche da sottoporre agli organi competenti.

 

Obiettivo 3.3 - Azioni di sensibilizzazione delle componenti sociali

 

Azione 3.3.1 - Centri per la biodiversità

I Centri per la biodiversità, di cui al punto 3.1.2, svolgeranno le proprie attività in funzione non solo delle visite scolastiche ma anche del pubblico in generale. Dovranno infatti diventare veri e propri fattori di attrazione per parchi e aree protette, aree demaniali forestali regionali e statali, aziende agricole, orti e giardini botanici, musei naturalistici, acquari, erbari. Le metodologie e i materiali disponibili per l'educazione dovranno essere adattati e applicati anche ad attività rivolte al pubblico dei visitatori con l'obiettivo di far crescere la conoscenza e la coscienza collettiva, inducendo modificazioni di comportamento e dei consumi favorevoli alla valorizzazione della biodiversità.

Particolare attenzione dovrà essere dedicata al potenziale di attrazione turistica con iniziative di valorizzazione ed uso sostenibile della biodiversità. Questo in riferimento non solo ai Centri di cui al punto 3.1.2 ma anche ad altre possibili iniziative private realizzabili, a titolo di esempio, in oasi e centri gestiti da associazioni ambientaliste nazionali e locali; giardini, orti e frutteti con varietà antiche e tradizionali all'interno di strutture di valore monumentale e artistico come ville, castelli e palazzi antichi; collezioni di frutta antica; fiere; zone dove vengono realizzati prodotti secondo tecniche tradizionali e sostenibili, impiegando materie prime autoctone in accordo con la diversità biologica locale.

Tali iniziative private verranno assegnate attraverso un bando pubblico e "certificate" dal Ministero dell'Ambiente mediante un marchio di qualità appositamente istituito.

 

Azione 3.3.2 - Agriturismo

Una importante azione di sensibilizzazione della diversità biologica può essere svolta dalle aziende impegnate in attività di agriturismo. Di particolare importanza, in questo senso, appare l'accoppiamento tra attività produttive, generalmente caratterizzate da metodi di coltivazione tradizionali ed ecologici, e fruizione di ambienti e prodotti agricoli tradizionali e autoctoni (vedi punto 5).

Il Ministero dell'Ambiente, in collaborazione con il MIPA, procede all'identificazione delle aziende agrituristiche qualificate per svolgere azioni di sensibilizzazione alla biodiversità mediante bando pubblico e selezione; a tali aziende verrà concesso il marchio di qualità di cui al punto 3.3.1.

Verranno inoltre promosse iniziative comunitarie. Per esempio, nel corso dell'attuale processo di riforma della PAC (politica agricola comune) è stata considerata tra l'altro l'introduzione di un 'salario didattico' per favorire iniziative del genere delle city farms (aziende dimostrative) che in Belgio e in Olanda hanno riscosso notevole successo. Tali incentivi potrebbero essere legati alla reintroduzione di razze e varietà autoctone (vedi punto 7). Spesso tali progetti, dopo un periodo di avviamento in cui necessitano di un sostegno esterno, acquistano autonomia finanziaria e vanno pertanto nella direzione di un'economia agricola sostenibile e rispettosa dell'ambiente.

 

Azione 3.3.3 - Campagne informative

Il Ministero dell'Ambiente, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni, promuove una campagna informativa sulla biodiversità e sul suo uso sostenibile rivolta al pubblico. Tale campagna è finalizzata alla promozione della conoscenza di importanti temi, quali: il significato della biodiversità da un punto di vista scientifico ed ecologico, i pericoli a cui è sottoposta, la sua conservazione e valorizzazione, il suo uso sostenibile; le caratteristiche della biodiversità in Italia (risultati delle azioni di monitoraggio). Le informazioni riguarderanno le azioni a livello internazionale (Convenzione sulla Biodiversità, CHM ecc.), le azioni a livello nazionale (il Piano Nazionale sulla Biodiversità, ecc.), la campagna di educazione di cui al punto 3. l. 1, la rete dei Centri per la biodiversità di cui al punto 3.1.2, il nodo italiano del Clearing-House Mechanism, il marchio di qualità e le iniziative private certificate di cui ai punto 3.3.1 e 3.3.2, i fattori di rischio (vedi punto 6) e i possibili comportamenti virtuosi.

Tale campagna rivolta al pubblico verrà promossa mediante diffusione a mezzo stampa dei contenuti di cui sopra e di materiale informativo appositamente prodotto.

Ulteriori azioni di informazione al pubblico verranno promosse di concerto con le associazioni ambientaliste e di consumatori identificate, mediante apposito bando pubblico.

Accanto alle iniziative di sensibilizzazione del pubblico, verranno avviate, con il supporto delle associazioni non governative ambientaliste, di consumatori e di categoria, azioni rivolte a gruppi specifici che svolgono un ruolo chiave nella conservazione e valorizzazione della diver-sità biologica. Tra questi, a titolo di esempio, si ricordano le amministrazioni regionali e locali che potrebbero diffondere la conoscenza degli strumenti più utili per il recupero e la valorizza-zione economica della biodiversità (come il regolamento comunitario 2078/92 sui metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze dell'ambiente); agricoltori e informatori agricoli; selezionatori, vivaisti e produttori di sementi; pescatori e addetti al settore ittico; consumatori; distributori di prodotti agro-alimentari; operatori dell'informazione.

Il Ministero dell'Ambiente provvederà ad indire un bando pubblico, rivolto alle associazioni, per la promozione delle iniziative di sensibilizzazione rivolte a gruppi specifici di popolazione.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 4
Conservazione in situ

Premessa

La Convenzione per la diversità biologica individua nella conservazione della biodiversità e nell'equa ripartizione dei benefici che derivano dalla sua utilizzazione sostenibile i propri obiettivi ultimi.

La conservazione in situ o, quando necessario, il ripristino degli ecosistemi e delle popolazioni (delle specie) nel loro ambiente naturale o, nel caso delle specie e delle varietà domestiche, nelle aree dove hanno sviluppato i propri caratteri, ha come fine il mantenimento della varietà di risorse genetiche, forme e processi adattativi delle specie e degli ecosistemi.

Il piano di azioni tenderà pertanto a:

  • conservare i caratteri peculiari, gli assetti strutturali e i processi funzionali degli ecosistemi e contenere le pressioni;
  • conservare le dimensioni, la struttura, la distribuzione delle specie selvatiche e contenere i fattori di rischio;
  • conservare il pool genico delle specie selvatiche e domestiche e prevenire i processi di erosio-ne genetica.

La conservazione in situ della biodiversità e delle condizioni necessarie al suo mantenimento si articola in un complesso di misure integrate, volte alla:

  • realizzazione di un sistema di aree naturali protette (aree protette, aree tampone e collega-menti);
  • conservazione del patrimonio genetico, delle specie e degli ecosistemi al di fuori delle aree protette;
  • conservazione delle specie/razze e. delle varietà/allevate coltivate;
  • conservazione dei paesaggi naturali ed agrari storici;
  • restauro e riabilitazione degli ecosistemi degradati;
  • difesa e recupero delle specie minacciate.

Tali misure dovranno essere integrate nella pianificazione del territorio, sia generale che di settore.

L'insieme delle misure che concorrono alla conservazione in situ della diversità, oltre alle iniziative dirette di tutela e recupero del patrimonio naturale, richiede un'integrazione nelle diverse aree di lavoro specifiche del piano. Il quadro organico degli interventi deve pertanto prevedere anche un insieme di misure finalizzate alla diminuzione della pressione sulla biodiversità da parte delle attività economiche, quali:

  • controllo del rischio di immissione negli ecosistemi di specie estranee;
  • controllo del rischio di immissione negli ecosistemi di organismi geneticamente modificati (vedi punto 8);
  • contenimento dei fattori di impatto negativo sulla biodiversità da parte delle politiche setto-riali (vedi punto 6).

Inoltre è necessario creare le condizioni di consenso e coinvolgimento attivo delle comunità lo-cali nella conservazione del patrimonio biologico presente nel territorio, attraverso:

  • · tutela delle culture locali che utilizzano in modo sostenibile il patrimonio naturale;
  • · sviluppo di attività sostenibili;
  • · educazione e sensibilizzazione.

La conservazione in situ richiede inoltre un'integrazione con le iniziative di conservazione ex situ, caratterizzando queste ultime come interventi complementari alla conservazione del pa-trimonio biologico negli ambienti naturali e favorendo l'istituzione proprio nelle aree protette di centri di conservazione ex situ finalizzate agli stessi obiettivi di conservazione.

 

Obiettivo 4.1 Realizzazione del sistema nazionale delle aree naturali protette

L'attuazione della Legge quadro sulle Aree Naturali Protette 394/91 ha consentito di estendere il numero e la consistenza delle aree protette, nazionali, regionali o gestite da organismi non governativi. Tuttavia il sistema nazionale deve ancora essere completato. E' ancora necessario estendere la conservazione ad una ulteriore parte di territorio che comprenda tutti gli ecosistemi che costituiscono il patrimonio naturale del paese. Inoltre è necessario che l'insieme delle aree istituite si evolva nel sistema. Tale passaggio richiede l'individuazione e la protezione, seppure di diversa intensità, di aree tampone, collegamenti biotici, aree di sosta, comprese tra le aree protette. Per questa individuazione vanno definiti i livelli di impatto antropico compatibile con la funzione di ciascuna area, territorio o sito. In altre parole, è necessario individuare e standardizzare per ogni punto del territorio nazionale il livello di impatto compatibile con l'uso assegnatogli, evitando inoltre contiguità di aree a funzione troppo differente tra loro, in quanto ciò vanificherebbe ogni tentativo di pianificazione di un sistema di aree protette.

Il disegno complessivo del sistema nazionale è legato al completamento della "Carta della Natura" prevista dalla legge quadro.

Il sistema delle aree protette richiede oltre ad un completamento territoriale anche il raggiungimento di maggiori livelli di efficacia nella conservazione. Di conseguenza si rende necessario attivare sia le misure istituzionali (organismi dirigenti, personale, piani e regolamenti) che quelle promozionali (piani e programmi di sviluppo, sensibilizzazione, educazione) che assicu-rino piena efficacia all'istituzione delle aree protette.

 

Azione 4. 1. 1 - Istituire nuove aree protette. e gestire quelle già istituite

La Convenzione definisce protetta un'area geograficamente delimitata che è designata e gestita allo scopo di raggiungere specifici obiettivi di conservazione. Il Quarto Congresso sui Parchi Nazionali e le aree protette, tenutosi a Caracas, Venezuela, nel 1992, ha precisato che le aree protette sono "territori o mari dedicati specificamente alla protezione o al mantenimento della biodiversità, e delle risorse naturali e culturali ad essa associate, e gestita attraverso mezzi legali o altre misure efficaci ".

I criteri in base ai quali si stabilisce se un'area venga effettivamente protetta sono:

  • le dimensioni che, ad eccezione di particolari situazioni quali le piccole isole, devono essere almeno 10 kmq;
  • gli obiettivi della gestione che sono definiti nelle diverse categorie di aree protette individua-te dall'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), alle quali si deve fare riferimento nell'istituzione delle aree protette;
  • le istituzioni che gestiscono l'area, che possono anche essere degli organismi non governativi riconosciuti dal Ministero dell'Ambiente.

Nell'istituzione del Sistema delle Aree Naturali Protette è necessario estendere la conservazione a tutti i tipi di ecosistemi ed ai diversi ambiti biogeografici (regioni, provincie, distretti, settori) presenti nel territorio nazionale.

 

Azione 4.1.2 - Realizzare piani di tutela mirati a specie a status particolare

I programmi di tutela a livello di popolazione di specie sono complementari a quelli a livello ecosistemico.

Si individuano quattro categorie di gestione per la conservazione in situ a livello di specie:

  • assenza di gestione
  • gestione moderata
  • gestione media
  • gestione intensa

Queste categorie vanno attivate in funzione dello status della specie e del grado di protezione dell'habitat.

E' necessario procedere ad una rapida identificazione di una lista nazionale di specie animali e vegetali il cui status imponga in qualche modo un intervento per la tutela, e, fatto del tutto nuovo, che tali specie siano inserite in un programma di. monitoraggio permanente, come veri e propri indicatori dell'ambiente.

Conditio sine qua non per la riuscita del programma è che le specie in questione possiedano al-cuni requisiti fondamentali:

a) facilità di identificazione (per facilitare gli operatori);

b) rilevanza biogeografica (essere cioè possibilmente endemismi regionali o italiani);

c) legame all'habitat ben definito (meglio dunque se stenotope);

d) essere implicate in processi fondamentali dell'ecosistema che le ospita (per una miglior veri-fica della funzionalità dei medesimi).

 

Azione 4.1.3 Realizzare una rete ecologica di collegamento tra le aree naturali protette individuando aree tampone esterne, corridoi biotici e aree di sosta

La frammentazione degli ecosistemi naturali è una delle maggiori minacce per la biodiversità: noti sono infatti gli effetti sul biota della riduzione delle aree degli habitat e dell'isolamento. In un paesaggio frammentato i movimenti delle specie si riducono necessariamente a movimenti all'interno e tra frammenti di ecosistemi, spesso troppo piccoli o troppo distanti. Una delle soluzioni è rappresentata dalla realizzazione di corridoi di vegetazione naturale tra i frammenti e, dove possibile, dal restauro ambientale di aree lungo i corridoi o tra i frammenti con funzione di sosta e collegamento per le specie.

Una ulteriore minaccia è rappresentata dall'effetto margine, ovvero dalla possibilità che lungo i confini degli ecosistemi si manifestino effetti negativi sulla comunità biotica. Questo problema ha suggerito la necessità di circondare le aree protette da territori a protezione parziale.

 

Azione 4.1.4 - Collegare il sistema nazionale delle aree protette con le reti ecologiche europee

L'UE ha sviluppato una propria strategia per la conservazione della biodiversità basata su una approccio di rete ecologica. La rete denominata Natura 2000 prevede l'individuazione in ogni Paese membro di Siti di Importanza Comunitaria ed il collegamento tra questi siti. E' necessario pertanto che il Sistema Nazionale delle Aree Naturali Protette sia integrato nella rete europea, al fine di rendere entrambi più efficaci.

Azione 4.1.5 - Istituire aree protette con finalità integrate di conservazione e tutela dell'ambiente e del territorio, quale la difesa del suolo (aree perifluviali, aree di difesa idrogeologico-forestale). il contenimento dell'inquinamento (aree ripariali tampone), la gestione di aree ma-rine di particolare valenza ambientale

Uno dei principali valori della biodiversità è il mantenimento degli equilibri negli ecosistemi in conseguenza della capacità della componente vivente di automantenersi in uno stato stabile.

In territori fragili dal punto di vista idrogeologico la presenza di aree con ecosistemi naturali e seminaturali contribuisce significativamente ad impedire l'evoluzione verso forme degradate. Altrettanto importante è la funzione degli ecosistemi per il contenimento degli eventi alluvionali delle aree umide perifluviali. Il restauro e la conservazione di questi ambienti può contribuire in modo determinante ad affrontare un problema non secondario del paese. La destinazione di territori a fini. di protezione idrogeologica è per altro già prevista nella legislazione del settore (aree a vincolo idrogeologico forestale, servitù idrauliche), e le aree protette finalizzate ne costituiscono una logica evoluzione.

Le componenti biotiche garantiscono anche altre importantissime funzioni ecosistemiche, quali il riciclo dei nutrienti, contribuendo quindi in modo determinante a contenere o risolvere i problemi dell'inquinamento. La realizzazione di veri e propri ecosistemi tampone, quali le zone umide per la fitodepurazione, può diventare un'ulteriore misura di conservazione a scopi plu-rimi del patrimonio biologico.

 

Strumenti

Legge quadro sulle Aree Naturali Protette 394/91 e strumenti previsti da questa (Carta della Natura...). Programma LIFE. Fondi strutturali UE. Regolamenti 2080/92 e 2078/92 e loro eventuali successive modificazioni

Leggi regionali di settore

 

Obiettivo 4.2 - Protezione di ecosistemi e specie al di fuori delle aree protette

La realizzazione di aree protette non è una misura sufficiente a garantire la sopravvivenza di molte specie selvatiche e di molte razze e varietà domestiche. Un'aliquota del patrimonio biologico del nostro paese è presente negli ecosistemi modificati ed utilizzati, taluni non includibili nel sistema delle aree protette.

 

E' necessario pertanto estendere anche al di fuori del territorio protetto alcune misure volte a contenere i fattori che minacciano la biodiversità, attraverso l'integrazione dei criteri della conservazione della biodiversità nella pianificazione del territorio.

Ciò significa che l'attuazione delle leggi di pianificazione quali le leggi di tutela del paesaggio, di difesa del suolo e le "Linee fondamentali di assetto del territorio previste dalla Legge quadro sulle Aree Protette andrà riorientata alla luce dei nuovi strumenti di analisi come la "Carta della Natura". E' altresì necessario considerare l'influenza sulla biodiversità delle diverse politiche di sviluppo settoriale (urbanistica, trasporti, industria, turismo, agricoltura, ... ).

La pianificazione territoriale ha un ruolo fondamentale nella conservazione ed utilizzazione sostenibile della biodiversità, sia a livello strategico, perché evidenzia il collegamento tra i livelli di governo del territorio e le differenti politiche di settore, sia a livello locale e regionale poiché mette in luce i vantaggi ottenibili dall'utilizzazione sostenibile del patrimonio naturale attraverso la collaborazione delle istituzioni e degli operatori locali. La pianificazione dovrebbe contribuire all'utilizzazione sostenibile del territorio attraverso una equilibrata distribuzione delle attività e ad alleviare l'eccessiva pressione esercitata su alcune zone, tenendo conto delle peculiarità e fragilità ecologiche.

 

Azione 4.2.1 - Integrare la conservazione della biodiversità nella pianificazione del territorio

L'integrazione della tutela della biodiversità nella pianificazione del territorio si articola in due linee di azioni:

La definizione di un sistema nazionale di aree protette e corridoi biotici che costituiscano le "Linee fondamentali di assetto del territorio" così come previste dalla Legge Quadro sulle Aree Naturali Protette, di cui all'obiettivo precedente

L'integrazione delle misure di protezione della biodiversità nelle politiche di pianificazione di settore, strettamente connessa con la piena attuazione della procedura di Valutazione dell'Impatto Ambientale attraverso l'adeguamento dell'attuale procedura applicata ai progetti e l'introduzione della Valutazione Strategica dell'Impatto Ambientale applicata ai piani. In particolare dovranno essere individuati e valutati i progetti e i piani che possono avere impatti negativi rilevanti sulla biodiversità (infrastrutture, urbanistica, agricoltura, forestazione, biotecnologie ) e definiti i meccanismi di impatto, le vulnerabilità, il sistema di monitoraggio degli effetti e i relativi indicatori, secondo un approccio multiscalare che consideri le interazioni delle attività antropiche a tutti i livelli di organizzazione biologica: landscape, ecosistema, comunità, popolazione. L'integrazione presuppone infine la partecipazione dei cittadini e degli enti locali.

Alla base di entrambe le linee di attività è la messa a punto di uno strumento conoscitivo del patrimonio biologico che ne valuti inoltre la consistenza, lo stato di conservazione, il valore, la sensibilità e la vulnerabilità agli impatti antropici. Tale strumento è individuato dalla citata Legge Quadro nella Carta della Natura. La realizzazione della Carta, in corso, si configura quin-di come un momento di grande novità nel panorama delle conoscenze della natura, perché non si limita ad un censimento, ma approfondisce attraverso un approccio ecosistemico, gli aspetti funzionali e contestuali della conservazione. Questo approccio va attuato anche nei confronti degli ambienti marini.

 

Azione 4.2.2 - Individuare e conservare i sistemi tradizionali a bassa intensità di utilizzazione delle risorse naturali, funzionali alla conservazione dei paesaggi e degli ecosistemi

Il paesaggio agrario storico è caratterizzato da ambienti antropizzati che tuttavia mantengono livelli di naturalità che consentono la sopravvivenza di un'aliquota rilevante del patrimonio biologico del paese. Tale paesaggio è il risultato di un uso non intensivo del territorio e delle risorse naturali (suolo, acque, foreste), basato su trasformazioni degli ecosistemi che consento-no il mantenimento delle principali funzioni omeostatiche e la conservazione di ecosistemi na-turali nel mosaico ambientale (siepi, aree boscate, reticolo idrografico, ... ). La conservazione di questi sistemi di utilizzazione delle risorse è pertanto una condizione decisiva nel mantenimen-to della biodiversità. Parimenti le attività di pesca artigianale prevedono l'impiego di attrezzi selettivi a ridotto impatto, spesso utilizzati secondo tradizioni secolari. Tradizioni queste che andrebbero conservate e/o riscoperte (vedi punto 5).

 

Azione 4.2.3 Sviluppare sistemi di utilizzazione sostenibile delle risorse naturali (foreste, suolo, pesca...)

Oltre al mantenimento dei sistemi tradizionali, la costruzione di un paesaggio eterogeneo di valore naturale è legata anche allo sviluppo di nuove forme di utilizzazione sostenibile delle ri-sorse.

Particolare importanza assume la ricerca sull'uso produttivo degli ecosistemi, e sull'individua-zione di sistemi di gestione più compatibili con la conservazione della biodiversità animale e vegetale. Nel nostro paese questo genere di ricerche non è mai stato incoraggiato, almeno nel-l'ambiente terrestre, motivo per il quale oggi non esiste una manualistica idonea a suggerire mi-sure integrative alla legge 431/85 ed altre normative sulla "tutela diffusa degli ecosistemi".

E' dunque il caso di istituire, a questo scopo, un gruppo di lavoro che abbia come obiettivo a breve termine la messa a punto di regole gestionali idonee alla tutela degli ecosistemi forestali, a pascolo, agrari soggetti a prelievo o ad interventi di sistemazione. Lo stesso gruppo di lavoro dovrebbe curare anche l'azione "restauro ambientale". L'elaborato, oltre a pianificare ricerche in questo campo, dovrebbe essere strutturato come segue:

  • Struttura del paesaggio e biodiversità animale e vegetale.
  • Successioni ecologiche e sequenze di degrado dell'ecosistema.
  • Effetti del prelievo sulla componente floristica.
  • Effetti del prelievo sulla componente faunistica.
  • Effetti del prelievo sul suolo e sulla diversità microbica e fungina.
  • Ecosistemi acquatici (acque interne).
  • Ecosistemi marini ed estuariali, lagune.
  • Il ripristino degli ecosistemi.
  • Tecniche di rinaturazione ed ingegneria naturalistica.
  • Ricostruzione di ambienti umidi, zone costiere e sponde fluviali.
  • Rinaturazione di infrastrutture viarie, manufatti, cave, etc.
  • Ricostruzione di ecosistemi forestali complessi in aree degradate.
  • Interventi in aree montane e bacini in fase erosiva.
  • Tecniche di reintroduzione e ripopolamento faunistico.

 

Azione 4.2.4 - Conservazione di paesaggi ed ecosistemi, esternamente alle aree naturali protette

La conservazione di aree estese rientra tra le tipologie di aree protette (categoria V della classi-ficazione IUCN), sebbene le misure di conservazione siano più limitate. La protezione del pae-saggio nel nostro Paese è legata alla conservazione dei beni culturali ed ambientali da specifiche leggi (1497/39 e 431/85) mentre è necessario che sia compresa nella conservazione della natura, anche in considerazione delle già citate funzioni di collegamento biotico che svolgono le aree a basso grado di antropizzazione.

 

Azione 4.2.5 Conservazione di specie esterne alle aree Protette

Una corretta politica di conservazione deve tendere ad evitare o ridurre il più possibile gli in-terventi dell'uomo sulla composizione e struttura delle comunità animali e vegetali. Infatti, in-troduzioni, reintroduzioni e ripopolamenti, che caratterizzano in maniera consistente anche l'attuale gestione faunistica, del nostro Paese, pongono rilevanti problemi di natura biologica, conservazionistica e gestionale le cui cause vanno ricercate principalmente nei seguenti fattori:

  • - inadeguatezza del quadro normativo che non definisce in maniera completa ed univoca moda-lità e limiti delle diverse tipologie degli interventi di immissione;
  • - mancanza, nella maggioranza dei casi, di una seria progettazione di tali interventi, ovvero la loro pianificazione ed attuazione di tali interventi da parte di operatori spesso privi di adeguata professionalità;
  • - progettazione e realizzazione degli interventi senza un'analisi del rapporto costi-benefici, a fronte di una limitatezza delle risorse complessivamente disponibili per la conservazione della fauna;
  • - assenza di un organismo unico formalmente delegato ad esprimere pareri in merito all'oppor-tunità, alla congruità ed alla priorità degli interventi, nel contesto nazionale ed internazionale;
  • - assenza di legislazione in materia, ed in particolare di una legislazione organica sulla conser-vazione della fauna che, pur essendo stata più volte auspicata, non ha ancora avuto modo di vedere la luce.

 

Strumenti

Leggi 394/91, 431/85, 183/89.

Normativa sulla V.I.A.

Leggi regionali.

 

Obiettivo 4.3 - Restauro e riabilitazione degli ecosistemi degradati, difesa e recupero delle specie minacciate

Il diffuso degrado degli ecosistemi come effetto della frammentazione, trasformazione, pres-sione, richiede un programma di interventi volto a restaurarne i caratteri ed i processi ecologici che ne sono alla base.

Tale degrado induce infatti effetti sugli equilibri del territorio, sul declino delle popolazioni, fino all'estinzione di specie o di interi ecosistemi.

Il restauro ecologico è una delle applicazioni dell'ecologia, sviluppatasi di recente, sebbene iniziative in tale direzione contino ormai diversi anni.

Differenti termini si utilizzano per definire le varie operazioni di restauro ecologico, dei quali i più significativi sono:

riabilitazione, che tende al recupero, non alla ricreazione, degli ecosistemi degradati;

restauro, che comporta invece la ricostruzione di ecosistemi naturali o seminaturali in territori degradati o fortemente modificati.

Sia la riabilitazione che il restauro comportano un'integrazione dei programmi di conservazione in situ ed ex situ, offrendo inoltre un'interessante opportunità per l'applicazione di diversi saperi collegati all'ecologia applicata (ecologia del paesaggio, ecologia delle comunità e popolazioni, ingegneria naturalistica, ... ).

La riabilitazione degli ecosistemi degradati comporta il verificarsi di due condizioni: la prima è l'eliminazione delle cause che hanno determinato il degrado, la seconda è la reintroduzione delle componenti dell'ecosistema che sono andate perdute. La reintroduzione può essere limitata ad una sola specie o ad intere comunità e collegata, se necessario, anche ai centri di conservazione ex situ.

Il restauro è necessario nei casi di ecosistemi estremamente degradati, quando sono ormai perdute le strutture e i processi fondamentali, come nel caso delle profonde ferite inferte negli ecosistemi naturali dalle attività minerarie, dagli incendi boschivi, nelle aree industriali dismesse, o nelle aree urbane od infrastrutturali abbandonate. Anche nel caso del restauro è necessario migliorare le condizioni ambientali che premettono la reintroduzione delle comunità biotiche. come le situazioni geomorfologiche e pedoclimatiche. Le operazioni propriamente di restauro consistono nella ricostituzione delle comunità vegetali, e quindi faunistiche, e nella manuten-zione fino al raggiungimento di uno stato stabile del sistema.

 

Azione 4.3.1 - Avviare un programma di restauro degli ecosistemi degradati finalizzato ad una rete ecologica di collegamento tra le aree naturali protette

In paesaggi estremamente frammentati la scomparsa di specie ed il degrado degli ecosistemi na-turali (per degenerazione dei principali processi ecologici) rivelano che i frammenti residui non sono sufficienti a garantire nel tempo il mantenimento della biodiversità. In questi casi è neces-sario il restauro a grande scala del paesaggio, considerato come un unico sistema, piuttosto che il restauro dei singoli frammenti. Questo significa restaurare e riabilitare le diverse componenti del mosaico ambientale, inclusi i territori agricoli, le foreste utilizzate, anche intervenendo con la riduzione dei fattori di pressione quali l'uso di pesticidi, legati ad un'utilizzazione intensiva del territorio.

 

Azione 4.3.2 - Avviare un programma di restauro di ecosistemi degradati finalizzato alla rea-lizzazione di aree protette a scopi plurimi (biodiversità, difesa suolo, disinquinamento)

Tali iniziative sono collegate con l'azione 4.1.5 e con ogni probabilità sono sempre necessarie quando si tratta di istituire un'area protetta a fini speciali, perché generalmente si interviene in ambienti già degradati o a rischio.

 

Azione 4.3.3 - Avviare piani di recupero per le specie in pericolo

In questo caso, come per i programmi di conservazione, le azioni sono complementari a quelle del livello ecosistemico.

Si individuano tre approcci per il recupero di specie in pericolo:

  • · programmi di reintroduzione
  • · programmi di ripopolamento
  • · programmi di introduzione.

Di fatto, le sole norme attualmente in vigore che trattano direttamente la materia delle immis-sioni faunistiche sono quelle contenute nella legge 11 febbraio 1992, n. 157, ("Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio"). Anche questa legge però risente dei diversi limiti di fondo che la caratterizzano. Si tratta infatti di norme che, oltre a prendere in considerazione solo i Mammiferi e gli Uccelli, trascurando altri gruppi anche di grande rilevanza gestionale, sono state sostanzialmente pensate per regolare l'esercizio venato-rio e le pratiche ad esso più strettamente correlate, e risentono quindi di un approccio quanto meno parziale ai problemi di conservazione della fauna.

 

Strumenti

Dotazioni ordinarie dei Parchi

Piano per la difesa del suolo

 

Obiettivo 4.4 - Conservazione in situ di specie di interesse agrario

 

La conservazione in situ delle specie di interesse agrario in Italia è molto più estesa di quanto si pensi anche a causa delle ridotte dimensioni delle aziende agrarie (circa 4,5 ha in media) e del fatto che in alcuni casi la quantità del germoplasma conservato è estremamente limitata (spesso anche una sola pianta). Nonostante che il Regolamento 2078 preveda il finanziamento di chi conserva la biodiversità, l'accesso a questi fondi è, per le stesse ragioni, difficile per i singoli coltivatori che quindi conservano sempre meno, non avendone quasi mai la convenienza eco-nomica. Si perde così un numero altissimo di genotipi di grandissimo interesse in una economia agricola che ha sbocchi naturali nei prodotti e negli alimenti tipici e che d'altra parte deve essere comunque rinnovata al fine di ridurre i costi ambientali ed economici dovuti all'aumento conti-nuo di input e al consumo di risorse non rinnovabili. Si tratta quindi di creare un sistema di in-centivi sufficienti a stimolare la conservazione e di coordinarla in modo da renderla più efficien-te. Quanto detto è tuttavia. possibile solo con una organizzazione decentrata della conserva-zione, affidata in delega alle Amministrazioni regionali, con il contributo determinante di ONG che si occupano del campo specifico. Va anche detto che una rete delle ONG, anche se debole, già esiste, coordinata presso la Università di Firenze e collegata con una rete più estesa dei Paesi mediterranei. Le proposte concrete qui di seguito illustrate potrebbero essere articolate in una legge quadro nazionale

Azioni 4.4.1

- Coordinamento delle iniziative previste per la conservazione in situ con le azioni proposte da parte degli strumenti previsti nel capitolo relativo alla conservazione ex-situ sia per ovvie ragioni di collegamento, sia per la necessità di un continuo ringiovanimento delle collezioni finalizzato ad evitarne la perdita e per il loro allargamento utilizzando germoplasma normalmente conservato in situ (vedi punto 7).

- Estensione a tutte le Regioni dell'obbligo di recepimento del presente Piano per la conser-vazione mediante l'emanazione. di una apposita legge che prenda in specifica considerazio-ne la conservazione in situ del germoplasma di interesse agrario e preveda un fondo specifico

- Apertura a scadenza periodica triennale di bandi per la conservazione in situ che ne prevedano il finanziamento su presentazione di progetti coordinati. Il coordinamento dei progetti potrà essere effettuato da amministrazioni locali, ONG, cooperative di agricoltori, consorzi di imprese ecc. e dovrà essenzialmente prevedere le spese per la realizzazione del progetto, anche in termini eventuali di mancato guadagno, e per il personale. Tutto questo nel quadro di politiche che mirino a pagare agli agricoltori i servizi resi non solo in termini di produ-zione di alimenti ma anche di conservazione di risorse.

- Inserimento, ove possibile, dei progetti di conservazione in situ nei Patti Territoriali e di Area per lo sviluppo e l'occupazione anche tenendo conto del fatto che la conservazione del germoplasma è spesso, nelle nostre regioni, anche conservazione del paesaggio e, in quanto tale, contribuisce al reddito complessivo delle comunità locali, reddito di cui i con-servatori hanno diritto di essere resi partecipi.

- Istituzione , con apposito provvedimento legislativo del "diritto del conservatore". Questo "diritto" dovrebbe essere applicato a chi dimostra di conservare germoplasma non più co-perto da protezione brevettuale o UPOV di potenziale interesse e consisterebbe nel paga-mento al conservatore di una somma di "concessione" da parte del miglioratore genetico o impresa biotecnologica che intendesse sfruttare detto germoplasma ai fini della produzione varietale o di isolamento di geni. - Si tratterebbe quindi, - in questo caso, di remunerare con un rapporto diretto tra privati il costo della conservazione in accordo con le indicazioni in-ternazionali fornite dalla CBD.

- Collegamento delle azioni regionali e delle libere reti di conservazione con quelle di conservazione ex situ e quindi con quelle internazionali in modo da scambiare reciproci servizi, usufruire del sistema di monitoraggio, predisporre a livello nazionale le quote di finanziamento da delegare, come si è detto, alle Regioni per la conservazione, quote, naturalmente da incrementare attraverso la costruzione di progetti con finanziamento esterno di vario tipo fra cui quelli europei (diventa così più facile l'accesso al 2078) e quelli provenienti da privati.

 

Obiettivo 4.5 - Conservazione in situ di specie di interesse zootecnico

Le specie e razze di interesse zootecnico, minacciate devono trovare la possibilità di essere conservate, oltre che ex-situ (vedi punti 5 e 7), anche in situ. Pertanto nelle azioni descritte nel punto 4.4.1 si intende ricomprendere anche tali specie e razze.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 5
Promozione delle attività compatibili

Premessa

L'articolo 8 della CDB sostiene la necessità di conservare sia all'interno delle aree protette, sia al di fuori di queste sull'intero territorio qualunque sia la sua destinazione d'uso, industriale, agricola, residenziale, di servizi ecc. Questo può essere realizzato soltanto se vengono attuate strategie di sviluppo globali ispirate a criteri dell'economia sostenibile, cioè elaborate nel rispetto della conservazione dell'ambiente e della biodiversità. La biodiversità ha un suo valore intrinseco in quanto fonte di risorse rinnovabili, sia in quanto non si ha evoluzione biologica in assenza di variabilità genotipica e fenotipica. Nei piani dell'economia sostenibile, dunque, non solo deve essere considerato il valore, e quindi il costo, delle risorse naturali, quali acqua, aria, suolo ed energia, ma anche il valore (e la sua conversione in costo economico ) della biodiversità.

Le implicazioni di interesse economico della conservazione della biodiversità sono molteplici; ad esempio perché provvede generi alimentari, materiali da costruzione, materie prime per le industrie e per la medicina; fornisce la base di diversità genetica che consente il miglioramento delle specie domestiche, animali e vegetali; mantiene la funzione degli ecosistemi, inclusi i processi energetici ed evolutivi; è essenziale per il ciclo vitale dei nutrienti (carbonio, azoto, ossigeno); assorbe e abbatte inquinanti, compresi rifiuti organici, pesticidi, metalli pesanti; tampona situazioni estreme (ad esempio nella siccità); protegge il suolo da eccessive erosioni.

Le tecniche di coltivazione, basate sull'uso di composti chimici e la meccanizzazione non appropriata, e le tecniche di selezione, basate sulla produttività ad ogni costo, hanno mostrato chiaramente i loro limiti. Su queste considerazioni nei Paesi sviluppati è emersa l'esigenza di dare spazio ad una agricoltura e ad una zootecnia a bassi costi e bassi impatti negativi, cosa che implica necessariamente il recupero della variabilità genetica, motivo per cui le multinazionali sono vivamente interessate alle risorse biologiche dei Paesi tropicali, dove più ricca è la biodiversità.

D'altra parte è sulla integrità degli ecosistemi terrestri che si regge la conservazione dei suoli, così come la conservazione e l'utilizzazione sostenibile degli ecosistemi marini e costieri sono essenziali anche per la sussistenza della categoria dei pescatori e delle comunità che dipendono dalla pesca. E' pertanto fondamentale che le risorse di questi ecosistemi vengano utilizzate in modo da non compromettere la biodiversità e da garantirne l'uso anche nei secoli a venire. Que-sto significa che nelle strategie, piani e programmi sia settoriali che intersettoriali vanno inte-grati la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità, in ottemperanza a quanto enunciato nell'art. 10 della Convenzione sulla Biodiversità.

In particolare nell'ambito dello sviluppo delle attività compatibili, deve essere sostenuta la produzione di prodotti agro-alimentari tipici. Si tratta cioè di produrre alimenti che abbiano particolari caratteristiche positive che li rendono unici, diversi da quelli che vengono prodotti in altri luoghi e con altre tecnologie. Tale specificità può derivare da diversi fattori: dal fatto di provenire da una zona conservata, non investita da inquinamento e degrado ambientale, con buona qualità di suolo e di acque, dal fatto che localmente vengano coltivate particolari varietà di piante e allevate specifiche razze di animali, dal fatto che i processi produttivi non siano ri-gorosamente omologati secondo gli schemi della produzione industriale internazionale, ma che abbiano conservato tecniche tradizionali, dal fatto di utilizzare nei processi di trasformazione alimentare (vino, formaggi, ecc.) ceppi di lieviti e di batteri autoctoni diversi da quelli comune-mente utilizzati nella produzione industriale. Progetti per la produzione di prodotti agroali-mentari tipici potranno essere realizzati a cominciare dai parchi ed estesi anche al di fuori di essi. L'Italia è ricca di cultura e tradizioni locali di questo tipo che meritano azioni di promo-zione anche a livello europeo.

Per quanto riguarda gli ambienti marini, l'aumento della pressione antropica sugli ambienti co-stieri sottolinea l'importanza di inserire le problematiche relative alla tutela della biodiversità in ambiente marino nelle politiche di gestione della fascia costiera (pesca, turismo, trasporti ecc.). Risulta inoltre necessaria l'inclusione dei siti marini e costieri nella futura rete di zone protette (Natura 2000), prevista dalla Direttiva comunitaria 92/43 sulla conservazione degli habitat (recepita con D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357).

Anche per quanto concerne l'ambiente marino, occorre elaborare strategie ed attuare piani di sviluppo turistico e di sfruttamento delle risorse biologiche (pesca ed acquacoltura) che siano fortemente connotati dall'esigenza di conservare la biodiversità.

La promozione delle attività sostenibili non può essere realizzata se non con la stretta collabo-razione dei vari organi di governo del territorio da quello , nazionale a quello regionale e locale.

 

Obiettivo 5.1 - Sviluppo delle attività compatibili nelle aree protette e al di fuori di esse

 

Azione 5.1.1 - Promozione delle attività produttive tradizionali delle quali sia riconosciuta la compatibilità ed introduzione di eventuali elementi di innovazione o di nuove attività diretta-mente legate alle finalità della conservazione della biodiversità.

 

5.1.1.1 - Aree protette

- Verrà attuato un programma di interventi per l'agricoltura biologica nelle aree protette, nell'ambito degli accordi tra il Ministero per le Politiche Agricole, il Ministero dell'Ambiente e le Regioni in attuazione dei Regolamenti CEE (Regg . 2078/92 e 2080/92). Tali programmi dovrebbero essere realizzati su aree omogenee almeno su dimensione comunale.

- Verranno istituiti il marchio del parco PAN (Prodotti Agroalimentari Naturali) per i prodotti agroalimentari e successivamente per gli ecotipi, produttivi e non, a livello agroalimentare, energetico, forestale ecc. e centri di servizio PAN per l'assistenza tecnica, trasformazione e commercializzazione dei prodotti. Il marchio garantirà la tipicità e l'origine del prodotto. Tale azione si integra con la precedente.

Saranno istituiti centri del germoplasma nei parchi nazionali dove, accanto ad un'azione di conservazione della biodiversità delle specie e varietà tradizionali e degli ecotipi autoctoni, si porranno in essere le condizioni della loro valorizzazione attraverso l'allevamento e la commercializzazione degli stessi (v. anche cap. 7). Per quanto attiene all'allevamento animale, ed in particolare alle specie di interesse zootecnico (bovini, suini, caprini, avicoli ecc.) è necessario consolidare e potenziare i piccoli centri sorti in questi ultimi anni per la salvaguardia della biodiversità con riferimento alle razze in via di estinzione; all'uopo possono essere destinate vaste aree a parco e aree abbandonate marginali o dismesse.

- Verranno attuati programmi di sostegno a forme di pesca artigianali che, prevedendo l'impiego di attrezzi selettivi, mostrano nei confronti dell'ambiente marino un ridotto impatto. Altresì sono da conservare, e per certe realtà da riscoprire, forme tradizionali di pesca che si basano in genere su tradizioni secolari.

- Va proposto nei settori della pesca e dell'acquacoltura, basate su solide basi di condotta responsabile e sostenibile, il prodotto D.O.C. Tale riconoscimento dovrebbe essere prioritariamente attribuito ai prodotti delle attività che si svolgono all'interno o nei pressi delle aree protette e ha il triplice scopo di qualificare il prelievo, di rilanciare l'immagine delle aree tutelate e differenziare la produzione con l'intento di incidere sul reddito delle popolazioni locali.

- Vanno individuate forme di ripopolamento attivo di specie ittiche rarefatte sia di interesse economico che ecologico. A tal riguardo possono essere individuati centri di raccolta riproduttori, di allevamento, professionalmente preparati alla definizione dei protocolli standardizzati e riproducibili. L'ideale collocazione di dette strutture può essere individuata su una o più isole minori inserite nelle aree marine protette.

 

Strumenti

  • Disponibilità finanziarie derivanti dagli accordi sopra citati, in applicazione del regolamento CEE 2078/92 e 2080/92.
  • 24 mld stanziati dal CIPE a valere sul 1999 e 2,5 mld sulla L. 344/97 per l'istituzione del marchio PAN.

 

5.1.1.2 - Aree non protette

- Per quanto riguarda l'agricoltura. saranno predisposti incentivi per diffondere le tecniche dell'agricoltura biologica, dovunque sia possibile e, in alternativa, sostenere l'agricoltura integrata, riducendo al minimo indispensabile l'uso dei composti chimici e favorire l'uso di macchine agricole che minimizzino l'impatto negativo sul terreno; intervenire per ridurre l'impatto da sovraccarico dei pascoli, da allevamenti intensivi, da monocolture; difendere le zone umide e le brughiere; sostenere il ruolo che le comunità rurali hanno nella creazione e mantenimento degli habitat seminaturali e la validità delle pratiche estensive, talvolta in aree marginali, per la conservazione della biodiversità.

- Sarà attribuito il riconoscimento di origine controllata a prodotti agricoli e zootecnici tal quali e trasformati in modo da proteggere sia la tecnologia di produzione sia, come nel caso dei settori vinicolo e lattiero-caseario ecc., la biodiversità degli agenti microbici della trasformazione dei prodotti agroalimentari, cui è legata la tipizzazione dei prodotti locali, contro l'omologazione spinta che appiattisce differenze e qualità. Il riconoscimento giuridico di tali prodotti non può che costituire uno stimolo alla conservazione della biodiversità, in quanto serve a conservare sia il pool genico di specie domestiche e varietà vegetali e microbiche, impedendo l'erosione genetica, sia la specificità delle pratiche agricole e delle tecnologie di trasformazione.

- Saranno stimolate azioni di valorizzazione dei genotipi e delle razze autoctone che ancora possono svolgere un ruolo importante sia dal punto di vista produttivo che da quello della tu-tela dell'ambiente e del territorio, come ad esempio le razze di montagna e le razze allevate sulla dorsale Appenninica (v. punto 4).

- Vanno riconosciuti i diritti del conservatore (coltivatore e allevatore) al fine di agevolarne le attività (punto 4.4.1).

- Saranno elaborati programmi di gestione compatibile delle risorse ittiche che si fondino su rigorose basi scientifiche, per evitare il rischio di estinzione di specie dovuto a pratiche intensive di pesca. Più in particolare va favorita la conservazione e l'utilizzazione sostenibile degli stock ittici e delle zone di alimentazione, anche attraverso l'introduzione di provvedimenti tecnici (zone di divieto, regolamentazione dimensioni maglie ecc.); va ridotto l'impatto delle attività di pesca e di altre attività umane sulle specie non bersaglio e sugli ecosistemi marini e costieri; vanno evitate le attività di acquacoltura che possono compromettere la conservazione degli ha-bitat, se condotte secondo tecniche non compatibili con la tutela dell'ambiente marino, soprat-tutto se realizzate in aree sensibili. Al fine di ridurre l'impatto sulla catena trofica e sulle specie marine protette, dovranno essere evitate le tecniche di pesca particolarmente impattanti, quali la pesca a strascico, con reti spadare, con palangari e con turbo soffianti. Particolarmente im-portante è la definizione di strumenti per la valutazione dell'impatto biologico dei diversi si-stemi di pesca sugli habitat (bioindicatori ambientali). Inoltre vanno messi a punto gli strumen-ti per la valutazione dell'impatto biologico dei programmi relativi alla pesca sugli habitat e per, lo studio delle interazioni tra gli ecosistemi, e per l'identificazione delle specie indicatrici da monitorare.

- Saranno sostenute le comunità locali e le loro tradizioni culturali, le loro tecniche agricole e zootecniche, le loro tecnologie di trasformazione dei prodotti agro-zootecnici.

- La pianificazione territoriale dovrà essere ispirata ai criteri della conservazione dell'ambiente e alla tutela del paesaggio che va inteso nel suo significato più completo di paesaggio naturale, urbano e agrario. I piani urbanistici e territoriali saranno sottoposti a VIA, (vedi punto 6) per evitare la frammentazione degli habitat e le pressioni incontrollate.

- Piani e programmi di sviluppo turistico devono rispondere all'esigenza di non superare la capacità di resistenza e resilienza delle pressioni antropiche degli habitat e degli ecosistemi; va inoltre promossa la definizione di orientamenti internazionali per un turismo sostenibile.

- I piani di settore (energetico, trasporti, rifiuti, turismo, industria, pesca ecc.) dovranno comprendere misure atte alla conservazione della biodiversità, a internalizzare gli eventuali costi ed essere sottoposti a verifica mediante VIA (vedi punto 6). Negli studi di impatto ambientale deve essere inserito anche il valore economico della conservazione e della perdita della biodiversità.

- La conservazione della biodiversità dovrà essere inserita anche nei bilanci di contabilità ambientale a livello territoriale che faranno parte delle Agende 21 regionali e locali; si tratta cioè di procedere, in termini di costi e benefici, ad una progettazione, il più onnicomprensiva possibile su base territoriale integrata, delle attività produttive che tenga conto di ricavi e spese a medio e lungo termine della gestione degli apparati produttivi e della natura che ne è supporto.

- Prevedere incentivi alle imprese (come nell'ultima finanziaria), condizionati alla ecogestione ed alla ottemperanza della regolamentazione europea sull'ecoaudit, in cui è ricompresa la conservazione della biodiversità.

- Vanno previsti per i patti di area incentivi subordinati alla realizzazione di attività che comportano la conservazione della biodiversità, come la coltivazione di specie vegetali atte ad evitare le erosioni riparie e montane, ad abbellire il paesaggio ad attuare la fitodepurazione; ciò può essere anche esteso all'adozione di pratiche colturali che contribuiscano a conservare la biodiversità microbica nei suoli e quella degli animali inferiori utili all'agricoltura e alla scelta di tecnologie di trattamento dei rifiuti e dei reflui basate sulla minimizzazione dell'impatto attra-verso l'uso di tecniche biologiche e di recupero energetico.

- In tutti i settori produttivi saranno realizzati programmi di etichettatura ecologica basati sull'analisi del ciclo di vita dei prodotti, la cui produzione, distribuzione, utilizzazione e modalità di smaltimento potrebbero influire sulla diversità biologica.

 

Strumenti

  • Per quanto riguarda le risorse finanziarie per le dette iniziative, esse dovrebbero provenire almeno in parte da strumenti quali i Patti Territoriali di Area ed essere ricavate da fondi di spesa non necessariamente assegnati al Ministero dell'Ambiente, ma anche agli altri organi di governo ai diversi livelli.
  • Vanno promossi progetti di sviluppo sostenibile con proponenti locali (sia privati che pubblici) che le Regioni possono finanziare su appositi contributi dello Stato.
  • Deve inoltre essere approntata una legge quadro delle Agende 21, nella quale inserire le spese necessarie per la conservazione della biodiversità a tutti i livelli, da articolarsi eventualmente in leggi regionali di applicazione (che possono rientrare nel Piano Nazionale sulla Biodiversità).
  • Le risorse finanziarie per le ricerche finalizzate al riconoscimento dei prodotti di origine controllata verranno ritagliate dai fondi destinati a progetti comuni del MURST, MIPA, CNR, dal Regolamento del Consiglio (EEC) 2082/92 ed altri.

 

Azione 5.1.2 -Istituzione di centri di sperimentazione della riconversione agricola

Va verificata la possibilità di utilizzare le strutture dell'ex Azienda di Stato per le foreste de-maniali e dei demani regionali come centri di sperimentazione di agricoltura sostenibile, in cui si sperimentino agrosistemi integrati che utilizzino le tecniche delle consociazioni tra specie di-verse come motore per la riconversione dell'agricoltura.

Vanno sostenuti interventi di neo-bocage nelle campagne italiane. In accordo con le autorità regionali si promuoverà un piano per il rilancio della presenza delle siepi campestri e delle bande boscate ripariali all'interno degli agro-ecosistemi, quale strumento per la conservazione della diversità biologica nei territori agrari, soprattutto in quelli planiziali (vedi anche punto 4).

Azione 5.1.3 - Promuovere la selvicoltura naturalistica in sostituzione di quella che fa uso di tecniche con alto impatto utilizzate per lo sfruttamento delle risorse forestali. valendosi del regolamento CE 2080/92.

In coerenza con le Direttive Comunitarie e fatte salve le garanzie inerenti la difesa delle specie autoctone ed il controllo sui rischi di inquinamento genetico e ambientale, in collaborazione con le Regioni ed i produttori agricoli si sosterrà un piano nazionale per l'arboricoltura da legno, quale parte essenziale di un secondo Piano Forestale Nazionale. In questo quadro ai boschi di montagna verranno assegnate le prevalenti funzioni di difesa idrogeologica, di fruizione naturalistico-ricreativa e, più in generale, di equilibrio ecologico e climatico (pur garantendo le normali tecniche di coltivazione selvicolturali naturalistiche), mentre all'arboricoltura da legno, da svilupparsi soprattutto nei territori agrari di collina e di pianura, verrà assegnata la prevalente funzione produttiva. Ciò favorirà, accanto ad un sicuro incremento dell'occupazione, la garanzia di una produzione legnosa di cui il Paese ha assoluta necessità.

Inoltre, in accordo con il Ministero dei Lavori Pubblici, le Autorità Regionali e le Autorità di Bacino, si dovrà proporre e sostenere un piano per rimboschimento e la rinaturalizzazione delle rive delle reti idrogeografiche regionali gestite dai Consorzi di Bonifica. Tutto ciò nella prospettiva non solo del ripristino del paesaggio e della conservazione della biodiversità, ma anche per gli effetti benefici per il disinquinamento dell'aria e dell'acqua.

 

Strumenti

Utilizzo di tutte le leggi in materia agricola, forestale e ambientale nazionali e regionali, promozione di una specifica legge per il secondo Piano Forestale Nazionale e Ambientale e integrazione con i fondi strutturali (Reg. 2052 ob. 5b) e con i regolamenti comunitari compatibili (Reg. CEE 2080/92 e 2078/92).

 

Azione 5.1.4 - Promuovere il turismo anche al di fuori delle aree protette.

A valle di appropriate iniziative di pianificazione e gestione, indispensabili alla integrità del territorio e alla conservazione e protezione del paesaggio, un turismo di tipo ecocompatibile va incentivato attraverso la promozione della tipicità dei prodotti locali, ottenuti con pratiche e tecniche che ne garantiscono insieme con la qualità, anche l'unicità. Tale promozione può essere effettuata ad esempio attraverso:
a) la diffusione di una cultura agrituristica basata sulle risorse di diversità biologica e sulle tradizioni locali, intese come valorizzazione delle tipicità geografiche italiane;
b) la promozione, nelle aree con caratteristiche appropriate, di conversioni produttive verso prodotti tipici lavorati con tecniche tradizionali e utilizzanti materie prime di provenienza nazionale; c) l'agevolazione dell'entrata dei prodotti tradizionali italiani sul mercato nazionale/internazionale;
d) l'individuazione di itinerari turistici ecocompatibili legati alle produzioni locali, alle peculiarità delle risorse viventi locali, a situazioni naturali e paesaggistiche con tradizioni locali ed emergenze architettoniche e culturali.

Strumenti

Estensione di alcune misure di incentivazione e dei Patti di Area e dei futuri finanziamenti che potrebbero provenire dalle leggi di attuazione del PNB anche per le aree non protette. Un apporto notevole di risorse potrebbe essere devoluto per questa azione dal mondo privato, già fortemente coinvolto, in ogni modo, nel settore turistico; già in passato, infatti gruppi e aziende private hanno unito interventi di recupero di emergenze artistiche o culturali a promozione turistica, industriale o di prodotti.

 

Azione 5.1.5 - Promuovere oltre alle attività individuate anche quelle che. pur non finalizzate alla conservazione della biodiversità. siano chiaramente compatibili.

Questo obiettivo si può ottenere fissando criteri ambientali nella elaborazione dei piani di settore e attraverso l'applicazione della valutazione d'impatto ambientale non solo ai progetti ma anche ai piani. Cosa, quest'ultima, che, come si è detto nel punto 6, è compresa nel disegno di Legge quadro sulla VIA.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 6
Contenimento dei fattori di rischio

 

Premessa

Una delle principali cause della riduzione della biodiversità sul nostro pianeta è rappresentata dall'antropizzazione e da tutte le attività ad essa connesse, il cui impatto è fortemente aumentato con la rivoluzione industriale. Il prelievo indiscriminato delle risorse naturali per la produzione di merci e di energia, la realizzazione di infrastrutture di servizio e di trasporto effettuata sulla base di logiche che ignoravano l'ambiente, la pianificazione del territorio fatta senza rispetto per le risorse naturali e per la biodiversità, l'enorme produzione di rifiuti di ogni genere, hanno contribuito a ridurre fortemente il numero delle specie animali, vegetali e microbiche.

L'individuazione di aree particolarmente ricche di biodiversità o particolarmente fragili da sottoporre a normativa di protezione è certamente un'iniziativa indispensabile, ma di per sé non sufficiente a garantire la conservazione della biodiversità. L'inquinamento infatti non conosce frontiere e sulle ali del vento e nelle correnti delle acque si trasferisce anche là dove non viene prodotto. Pertanto accanto a disposizioni specifiche per particolari aree, va attuata una politica globale per la conservazione della biodiversità su tutto il territorio, attraverso il controllo delle politiche territoriali, dei piani di settore (urbanistici, paesistici ecc.), della localizzazione e realizzazione delle infrastrutture di servizio e di trasporto, delle tecnologie adottate per la produzione di servizi, perché vengano attuati nel rispetto del principio della conservazione della biodiversità.

Al fine di tutelare la salute dell'uomo, l'integrità della flora e della fauna e degli ecosistemi, il paesaggio, il suolo, le risorse idriche e l'aria, la Comunità Europea ed il governo italiano hanno elaborato una normativa articolata basata sulla valutazione di impatto ambientale. La normativa vigente e il disegno di Legge Quadro sulla VIA possono rappresentare un valido strumento di conservazione della biodiversità in accordo con quanto contenuto negli articoli 8 e 14 della Convenzione sulla Biodiversità.

 

Obiettivo 6.1 - Adeguamento della normativa sulla valutazione d'impatto ambientale relativamente ai progetti che possono avere impatti negativi significativi sulla biodiversità in accordo con le Direttive Comunitarie

Azione 6.1.1 - Identificazione delle categorie di progetti con impatti significativi sulla biodiver-sità. di specie e di ecosistemi.

Molte sono le categorie di progetti che possono produrre impatti negativi sulla biodiversità; fra le più importanti si possono identificare:

  • Industria chimica, in particolare, che sintetizza composti xenobiotici o formulati per la com-mercializzazione. Nell'ambito dell'industria chimica, anche se non di sintesi, vanno considerate con attenzione, tra le altre, anche le industrie del settore petrolifero, responsabili spesso di dif-fusione ambientale di idrocarburi aromatici, policiclici e alifatici.
  • Centrali termoelettriche per la produzione di energia, che causano soprattutto inquinamento atmosferico, (anche se la situazione è in via di miglioramento), e concorrono significativamente al fenomeno delle piogge acide e all'inquinamento termico delle acque costiere.
  • Attività agricole, soprattutto per l'uso di pesticidi e diserbanti, per le coltivazioni in campi di vaste dimensioni che hanno comportato l'eliminazione delle siepi riparie e coperture di fossi, per l'utilizzo di macchine agricole improprie, per la diffusa pratica della monocoltura, per l'uso esagerato di fertilizzati chimici inorganici ecc. .
  • Impianti di stoccaggio e di trattamento di rifiuti solidi e acque reflue.
  • Infrastrutture di trasporto, sia nella fase di realizzazione che in quella di esercizio.
  • Piani urbanistici non ispirati ai criteri della conservazione della biodiversità (vedi punto 5).
  • Rilascio in campo di organismi modificati geneticamente. Le autorizzazioni all'utilizzo in campo di piante e di microrganismi transgenici rendono urgente la necessità di affinare gli strumenti per il loro controllo.

Per ciascuna di queste categorie di impatto si rende necessario comunque approfondire le ricerche al fine di stabilire la precisa entità del danno che ogni insediamento realmente causa.

Per tutti questi progetti è indispensabile che vengano internalizzati i costi ambientali, indiriz-zando tale internalizzazione più nella direzione dell'incremento di investimenti che rendano minimo l'impatto negativo, che non nella direzione di monetizzare la perdita di biodiversità, che comunque è difficilmente recuperabile.

Il nuovo disegno di legge Giovannelli sulla contabilità ambientale, che consente di catalogare le risorse biologiche, attribuendo a ciascuna di esse un valore, da un lato sollecita una maggiore attenzione da parte degli operatori nei confronti della biodiversità e dall'altro rende più concreto il diritto del conservatore (vedi punto 4).

 

Strumenti

Per l'identificazione delle categorie di progetti in esame e per la valutazione dell'entità dei danni vanno incrementate le ricerche in accordo con MURST, MIPA, Ministero dell'Industria e dell'Artigianato, il CNR, con la partecipazione dell'ANPA e delle ARPA, delle Regioni, Enti locali e privati finalizzate ad identificare i bioindicatori di impatto, sulla base dei quali descrivere qualità, intensità ed estensione degli impatti delle categorie di progetto in questione.

Azione 6.1.2 - Adeguamento della normativa vigente ed in preparazione sulla VIA alle catego-rie di progetti con impatto negativo sulla biodiversità. Rafforzare la partecipazione del pubbli-co alle procedure di valutazione di impatto ambientale.

Le tipologie di progetto particolarmente dannose per la biodiversità, che sono state evidenziate nel paragrafo precedente, sono tutte ricomprese all'interno degli elenchi delle tipologie proget-tuali considerate nel DPCM 10 agosto 1988 n 377, nel DPR 12 aprile 1996 nonché nel DPR 11-2-1998, alcune di competenza del Ministero dell'Ambiente, altre di competenza delle Re-gioni, in recepimento delle Direttive comunitarie 85/377 e 97/11 rispettivamente.

La nuova normativa in elaborazione sulla VIA dovrà prestare particolare attenzione alle catego-rie di progetti menzionate al punto 6.1.1 e ai Piani che possono provocare impatti particolar-mente negativi sulla biodiversità (infrastrutture, urbanistica, agricoltura, forestazione ecc); do-vranno essere definiti i meccanismi di impatto, le vulnerabilità, il sistema di monitoraggio degli effetti ed i relativi indicatori, secondo un sistema di approccio multiscalare che consideri le in-terazioni a tutti i livelli di organizzazione biologica: landscape, ecosistema, comunità, popola-zione.

Come già il disegno di Legge Quadro sulla VIA prevede, la valutazione di impatto ambientale verrà estesa anche alle tecniche di utilizzo in campo e alla commercializzazione di piante, ani-mali e prodotti transgenici mediane procedure da definirsi per la Valutazione di Impatto Am-bientale Genetico (VIAG, vedi anche punti 8 e 9).

Sarà avviato un lavoro di individuazione di specifici indicatori (quando necessario anche a li-vello di geni) in grado di segnalare e quantificare la compromissione della biodiversità (vedi punto 4.1.2) ed eventualmente sarà considerata la possibilità di ritoccare le soglie delle dimen-sioni dei progetti al di sopra delle quali è obbligatoria la VIA.

Nello stesso strumento legislativo è previsto il consolidamento e l'ampliamento dell'impegno per il potenziamento dell'informazione e della partecipazione del pubblico. L'impegno del go-verno è di vigilare perché le Regioni si adeguino rapidamente alla normativa nazionale al fine di omogenizzare le VIA su tutto il territorio nazionale.

 

Strumenti

  • Approvazione della nuova Legge quadro sulla VIA.
  • Applicazione estensiva di tutte le normative nazionali e comunitarie che regolano l'inquinamento di ogni genere.

 

Azione 6.1.3 - Applicazione ove previsto, del principio della cosiddetta precautionary per le categorie di progetti per i quali non è possibile stabilire l'impatto sulla biodiversità ed inserirli in un apposito elenco nell'ambito del Piano

In una lista di precautionary verranno introdotti i progetti e piani di particolari lavorazione in-dustriali e interventi, per i quali l'impatto sulla biodiversità non è ancora sufficientemente noto.

Da questo elenco, dopo aver accumulato una serie di dati sufficienti, potrebbero in un secondo tempo emergere categorie di progetti da trasferire nell'elenco previsto al punto 6.1.1, che raccoglie le categorie di progetti e azioni con particolare impatto sulla biodiversità e quindi da sottoporre a valutazione di impatto ambientale accurata con specifici bioindicatori.

 

Strumenti

  • La legge 127/97, articolo 17, consente, tramite decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di ampliare le tipologie di opere da sottoporre a VIA.
  • Finanziamenti per indagini sui bioindicatori atti a rilevare e misurare l'impatto delle categorie di progetti per le quali ancora non esistono sufficienti dati.

 

Obiettivo 6.2 - Introduzione di misure appropriate per assicurare che le conseguenze di programmi e politiche negli altri settori che hanno effetti negativi sulla biodiversità vengano debitamente considerate, in accordo con le direttive comunitarie.

 

Azione 6.2.1. - Predisposizione delle normative per l'effettuazione, da parte delle amministra-zioni interessate. dell'analisi degli impatti sull'ambiente dei programmi e delle politiche dei set-tori che hanno conseguenze negative sulla biodiversità (rifiuti, depurazione delle acque, energia, trasporti terrestri e fluviali. agricoltura etc.)

 

- Estendere la VIA anche a programmi e piani come il disegno di Legge Quadro sulla VIA già prevede: piani dei trasporti, di produzione di energia, di sfruttamento ittico, di sviluppo delle attività turistiche.

- Estensione anche alle Regioni, alle quali deve essere affidato il compito di controllare la con-formità di piani e programmi che riguardano il loro territorio agli standard.

- Esercizio da parte del Ministro dell'Ambiente (Iegge 349/86), del diritto di concertazione sui piani e programmi elaborati da altri Ministeri che possano avere un impatto sull'ambiente in generale e sulle aree protette.

- Esercizio da parte del Ministero dell'Ambiente del diritto di concertazione sulle linee fondamentali dell'assetto del territorio, fornendo (in base alla L. 394/91) precise e vincolanti norme di indirizzo per la redazione dei principali strumenti di programmazione e pianificazione a livello nazionale, regionale e subregionale con l'obiettivo di garantire la tutela del patrimonio naturale del Paese.

- Completamento della Carta della Natura (vedi punto 4.2.1) che con gli strumenti che fornirà (l'individuazione delle aree antropizzate e/o degradate dal punto di vista naturalistico ambientale; l'individuazione delle aree di interesse naturalistico; l'individuazione delle aree di rilevante valore naturalistico che costituiscono il "patrimonio naturale" dell'Italia che dovranno essere sottoposte a tutela nel corso dei futuri programmi triennali nel rispetto della legge quadro) renderà più facile la valutazione degli effetti sulla biodiversità di piani e programmi.

 

Azione 6.2.2 - Individuazione di eventuali strumenti atti a sensibilizzare gli organi locali depu-tati alla attuazione dei piani e programmi che hanno impatti negativi sulla biodiversità, per l'effettuazione dei necessari controlli

Le Regioni, che ancora non l'hanno fatto, saranno sollecitate a varare la legge Regionale sulla VIA o ad armonizzarla, se già c'è, con la normativa nazionale, in ottemperanza al DPR del 12 aprile 1996, pubblicato nella G.U. nel settembre dello stesso anno.

Le Regioni dovranno predisporre normative tecniche e fornire disposizioni chiare sulle modali-tà con cui piani e programmi di settore di competenza regionale dovranno essere sottoposti a VIA e con esse anche gli strumenti atti a facilitare l'esecuzione degli studi di impatto.

Le ARPA regionali, in stretto rapporto con l'ANPA, saranno il punto di riferimento irrinun-ciabile per l'individuazione dei metodi di monitoraggio, degli indicatori biologici, oltre che chi-mici e fisici, fornendo alle Regioni supporto scientifico e tecnico per la valutazione degli impat-ti.

Incentivi speciali verranno assegnati alle Regioni che elaboreranno piani e programmi (per esempio energetici e dei trasporti) basati sul miglioramento delle condizioni ambientali e sulla conservazione della biodiversità.

 

Strumenti

- Incentivi agli organi locali per lo sviluppo di piani e programmi elaborati nel quadro della conservazione della biodiversità

 

Obiettivo 6.3 -Promuovere misure per interventi di emergenza su settori o attività che presentino gravi ed imminenti pericoli per la biodiversità, incoraggiando la coopera-zione internazionale nel caso di effetti transfrontalieri.

 

Azione 6.3.1 - Individuazione delle attività suscettibili di rappresentare pericoli gravi per la biodiversità e verificare l'adeguatezza dei piani di intervento predisposti

L'ANPA, in collaborazione con il Servizio VIA del Ministero dell'Ambiente, censirà sia le atti-vità che, pur cadendo all'interno delle categorie di progetti di cui al punto 6.1.1, sono state rea-lizzate in passato, prima che la normativa riferita alla VIA entrasse in vigore, senza prevedere i possibili impatti, né studiare ogni mezzo destinato alla mitigazione degli impatti stessi, sia quelle che, pur sottoposte a VIA, mostrino tuttavia di causare gravi danni alla biodiversità. Verranno individuate e circoscritte le aree compromesse (suoli inquinati da idrocarburi, solventi ecc., aree ad alta concentrazione di inquinamento atmosferico, corpi idrici con elevato carico inquinante chimico e microbiologico ecc.), rilevati i danni e individuate le cause. In queste zone si dovrà agire su due fronti: da un lato rimuovendo le cause che provocano i danni e dall'altro recuperando le aree, con interventi di riabilitazione o di restauro (vedi punto 4.3).

Aree con la biodiversità danneggiata sono presenti anche in fasce di confine con altri Paesi.

1 problemi più importanti di tipo transfrontaliero riguardano:

- Emissioni gassose, prodotte da centrali termoelettriche per la produzione di energia, attività industriali, traffico da automezzi che liberano nell'atmosfera anidride carbonica, anidride solfo-rosa, ossidi di azoto, ozono, gas che concorrono rispettivamente ai fenomeni dell'effetto serra e cambiamenti climatici, delle deposizioni acide e del buco di ozono, arrecando danni alle foreste, ai corpi idrici interni, ai suoli, dove compromettono la biodiversità. Questo problema dovrebbe quindi essere affrontato in particolare con gli stati della ex Jugoslavia che sono quelli più vicini e più in generale con tutti gli altri Paesi dell'Europa, nell'ambito della Convenzione sull'inqui-namento atmosferico transfrontaliero a lunga distanza (Ginevra nel 1979).

- Trasporti, con particolare riguardo alla rete di trasporto transeuropea (TEN), che rappresenta un asse portante della strategia di integrazione dell'Europa in un mercato unico, ma che ha comportato, per quel che riguarda i più importanti progetti finora attuati, frammentazione degli habitat e a perdite della biodiversità.

- Scarichi di reflui civili ed industriali, malamente trattati, ricchi di sali minerali ed altri inqui-nanti (nitrati e fosfati, batteri fecali ecc. ), che attraverso i fiumi si riversano nel Mediterraneo. A questi si aggiungono le contaminazioni di idrocarburi del petrolio e di altre sostanze organi-che derivanti dal traffico marino e da operazioni abusive di lavaggio di cisterne, oltre che da fonti terrestri. L'Italia è fortemente coinvolta in questa problematica proprio per la sua posi-zione geografica. Data l'ampia possibilità di migrazione di questi inquinanti il problema dell'in-quinamento del Mare nostrum può essere affrontato solo coinvolgendo tutti i Paesi dell'area biogeografica del bacino del Mediterraneo.

- Inquinamento da radioattività. In questo caso l'Italia è coinvolta come potenziale vittima di inquinamento da radioattività e non come causa, in quanto, in seguito a referendum popolare, il nostro Paese ha respinto ogni ipotesi di approvvigionamento energetico basato sul nucleare. In particolare è la Francia, Paese di confine dell'Italia che, avendo scelto la via del nucleare, può rappresentare un fattore di grave rischio. Il rischio comunque può provenire non solo da even-tuali incidenti nelle centrali, ma anche dalle grandi quantità di rifiuti radioattivi affondati nel Mediterraneo al largo della costa calabrese.

 

Azione 6.3.2 - Predisposizione di piani di intervento coordinati con gli altri Paesi interessati per quei settori dove le conseguenze della biodiversità travalichino i confini nazionali (ad esempio inquinamento marino. incidenti nucleari)

- Per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico, le Direttive comunitarie hanno contribuito a migliorare la situazione ed anche con i Paesi extracomunitari confinanti è possibile l'espletamento della VIA,. in base a quanto previsto dalla Convenzione Expo del 25 febbraio 1991 (ratificata dall'Italia con legge 3 novembre 1994, n. 640, che alla data attuale risulta pure ratificata da Austria, Croazia, Svizzera, ma non ancora da Francia e Slovenia). Con i Paesi di confine dovrebbero essere avviati in particolare i programmi di studio dello stato di salute degli ecosistemi, specie inerenti le Alpi, al fine di valutare l'eventuale impatto dell'inquinamento atmosferico su queste aree.

- Per quanto riguarda la rete di trasporti transeuropea, rivedere l'art. 8.2 delle linee guida TEN, allo scopo di definire metodi efficaci di valutazione basati sull'utilizzo di biondicatori di biodiversità da applicare ai progetti TEN.

- Per quanto riguarda l'inquinamento marino, è necessario uniformare le norme ed i compor-tamenti tra tutti i Paesi del Mediterraneo, in modo da non vanificare lo sforzo dei Paesi più sensibili al problema dell'inquinamento, con pratiche permissive di altri Paesi.

- Per questo si tratta di supportare e potenziare l'attività Centro dell'ENEA di S. Teresa di La Spezia, riconosciuto come Topic Center dell'Ambiente Marino e Costiero dalla Comunità Europea.

- Per quanto riguarda i rischi di inquinamento da radioattività, dovrebbe essere aperto un tavolo di trattative che veda coinvolti con la Francia non solo l'Italia, ma anche tutti gli altri Paesi europei a cominciare dai limitrofi per trovare punti di contatto sugli aspetti della sicu-rezza per tutto il continente.

- Più in generale le problematiche dei danni transfronitalieri alla biodiversità vanno riportate nelle sedi europee competenti.

 

Strumenti

- Nell'ambito dei finanziamenti CEE, sviluppare ricerche sullo stato di conservazione della biodiversità e gli impatti su di essa dell'inquinamento nelle zone di confine.

- Sostenere attivamente le iniziative europee finalizzate ad approntare normative più adeguate ad affrontare i problemi sopraelencati.

E' da sottolineare, infine, l'importanza che anche i progetti finanziati dall'Italia nei Paesi in via di sviluppo, nell'ambito dei programmi di cooperazione, siano preventivamente esaminati allo scopo di ridurre al massimo eventuali effetti negativi sulla biodiversità in tali aree.

Al riguardo già la legge 30 dicembre 1991, n.412 (art. 3) prevede che i progetti di cooperazione allo sviluppo "di tipo infrastrutturale" siano sottoposti a VIA.

 

Inoltre, il disegno di legge quadro sulla VIA, con uno specifico articolo, prevede l'assoggettamento a VIA, con una particolare procedura, di tutti i progetti finanziati con i fondi per la cooperazione allo sviluppo che rientrino nelle categorie sottoposte a VIA di competenza statale o regionale (vedi anche punto 9.1).

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 7
Conservazione ex situ

Premessa

La conservazione ex situ è una strategia fondamentale di conservazione della biodiversità quando questa è gravemente minacciata, oppure quando il numero degli individui di una specie è fortemente ridotto. Essa presenta tuttavia lo svantaggio di mantenere solo una parte della variabilità genetica dei taxa, che può essere soggetta a deriva genetica. Il collegamento stretto tra i centri di conservazione ex situ ed i centri di sperimentazione e di impiego in situ rappresenta una efficiente soluzione per mantenere la variabilità delle specie per le quali non è possibile la conservazione in situ. Pertanto un programma di conservazione della biodiversità deve prevedere un equilibrato bilanciamento dei due tipi di conservazione. Oltre a mantenere le risorse genetiche esistenti, la conservazione è funzionale anche ad altri importanti obiettivi quali, sviluppare nuove cultivar, razze e ceppi durante i programmi di miglioramento genetico; fornire popolazioni di riserva o stock da utilizzare per consentire la sopravvivenza delle specie durante le fasi di reintroduzione e ripopolamento o per favorire il recupero e la riabilitazione degli habitat; fornire materiale per l'industria, per l'agricoltura, per la formazione e la ricerca; assicurare, attraverso lo stoccaggio a lunga scadenza, materiale per bisogni futuri; fornire materiale per la formazione di una coscienza ambientale. L'attuazione di una strategia volta a promuovere la biodiversità ex-situ come complemento della conservazione della biodiversità in situ e ad essa strettamente collegata risponde pienamente all'art. 8 della Convenzione sulla Biodiversità.

 

Obiettivo 7.1 - Realizzazione di una rete integrata di centri di conservazione del germoplasma

 

Partendo da quanto già esistente deve essere realizzata una rete integrata di centri per la conservazione del germoplasma, utilizzando come punti nodali le strutture esistenti e gli istituti specializzati.

 

Azione 7.1.1 - Censimento delle collezioni di germoplasma.

Si tratta di censire tutte le collezioni, pubbliche e private, di conservazione del germoplasma ex situ sia di specie coltivate (vegetali e microbiche) e allevate (animali), sia di specie selvatiche:
a) germoplasma animale (dell'Istituto del germoplasma di Bari, il CinSDAI ecc.);
b) germoplasma vegetale a partire dagli Istituti del MIPA, MURST, CNR, ENEA, Centro per la Conservazione delle piante da frutto, collezioni esistenti negli orti botanici di ogni tipo, comprendendo anche quelle private legate alle imprese sementiere, alle istituzioni private, alle Fondazioni, agli orti botanici privati, alle ONG ecc.;
c) germoplasma microbico (batteri, funghi) e virale (virus animali, vegetali e batterici) comprendendo le collezioni esistenti presso Università ed istituti di ricerca pubblici, ufficialmente riconosciute, le collezioni più modeste e per lo più poco conosciute, spesso conservate presso istituti di ricerca pubblici e le collezioni private conservate soprattutto presso le industrie alimentari e farmaceutiche. Nell'archivio devono essere riportati elementi conoscitivi di primaria importanza come il bilancio annuale dei costi della conserva-zione, il ritmo di rinnovo delle collezioni ecc.

Azione 7.1.2 - Istituzione di una banca dati accessibile con sito web

In questa banca dati dovrebbero essere riportate notizie sulla qualità, stato di conservazione, variabilità genetica del materiale conservato, insieme, ove possibile, alla provenienza, storia, derivazione sia di specie coltivate (vegetali e microbiche) e domestiche (animali), sia di specie selvatiche. Per questo è necessaria un'indagine scientifica accurata da svolgersi in collaborazio-ne con il Centro Nazionale per la Conoscenza e il Monitoraggio della Biodiversità, come previ-sto dalla Convenzione per la Biodiversità, da istituirsi presso l'ANPA. Tale Centro si potrà avvalere del Centro Diffusione Informazioni (CHM) della Convenzione già messo a disposizione dall'ENEA.

 

Azione 7.1.3 - Gestione della Conservazione ex situ

La gestione della Conservazione ex situ sarà svolta dalle strutture predisposte ( MIPA, CNR, ecc.) sotto il coordinamento del Ministero dell'Ambiente, che garantirà anche il collegamento ex-situ/in situ.

 

Strumenti

Un piano nazionale finanziato dal Ministero dell'Ambiente, MIPA, MURST per il riordino e la gestione delle collezioni esistenti, il miglioramento della strumentazione, il rinnovamento delle collezioni. Anche i privati devono poter usufruire di tali finanziamenti con appositi bandi triennali a cui possano accedere tutte le imprese, organizzazioni non profit, fondazioni che di-mostrino di avere tra i fini istituzionali la conservazione e competano sulla base di programmi specifici di implementazione da sottoporre ad una apposita Commissione interministeriale.

Partecipazione ai progetti finanziati dalla EC con il Regolamento 1467/94.

 

Obiettivo 7. 2 -Collegamento ex situ/in sìtu

 

Azione 7.2. 1 - Scambio di informazioni

Al sito web, di cui al punto 7.1.2, devono poter accedere tutti i soggetti collegati nella rete informativa della conservazione in situ, in modo che ci sia uno scambio di informazioni in tempo reale sulle specie e la variabilità genetica osservata.

 

Azione 7.2.2 - Rinnovamento collezioni ed ampliamento

Gli attori della conservazione in situ dovranno essere incentivati a fornire periodicamente mate-riale da conservare ai centri della conservazione ex situ e, parallelamente, a rinnovare la collezione dei medesimi, fornendo, dietro compenso e rimborso spese, terreno e manodopera per la conservazione. Questa azione impedirà la perdita di germoplasma vegetale per perdita di germinabilità nel caso delle piante e permetterà la moltiplicazione del germoplasma animale. Per quanto riguarda microrganismi e virus potranno essere forniti dai conservatori in situ ai centri della conservazione ex situ campioni di materiali (terreno, acque dolci e salate, sedimenti, tessuti di piante e animali ecc.) che presentano interesse particolare. La rete della conservazione in situ potrà fornire, su commissione, anche un servizio di conservazione, di deposito e di classi-ficazione del germoplasma animale, vegetale, microbico e virale, oltre che di consulenza. Alla rete della conservazione in situ/ex situ così organizzata potranno accedere le imprese desiderose di utilizzare il germoplasma conservato ai fini del miglioramento genetico, ottemperando ai dettami di legge relativi alla normativa UPOV e a quella della protezione del conservatore (vedi punto 4).

Orti botanici, acquari e zoo presenti sul territorio nazionale dovranno evolversi in centri più attivi di conservazione, assumendo l'impegno concreto di perseguire chiari obiettivi annuali e pluriennali nella conservazione delle specie ospitate e nella educazione (vedi punto 3). Questo impegno, oltre che nella realizzazione di programmi di allevamento in cattività, si dovrà esple-tare anche in programmi di reintroduzione di animali in cattività, di assistenza a programmi di conservazione in situ in Italia e all'estero e in programmi di educazione del pubblico sui temi della conservazione delle specie e degli habitat. Infine orti, acquari, e zoo dovranno entrare a pieno titolo, con l'assistenza finanziaria anche dello stato, nei programmi di supporto alla Convenzione di Washington sul Commercio delle Specie Minacciate (CITES).

 

Azione 7.2.3 - Istituzione di nuovi centri per la conservazione

Va realizzata l'istituzione di almeno tre grandi vivai regionali pubblici (area padana, area centrale ed area mediterranea) per la difesa del germoplasma delle specie autoctone animali, vegetali e microbiche e la produzione di piantine, certificate. per origine e provenienza. Nuovi interventi potranno inoltre essere destinati all'istituzione e l'integrazione nella rete di nuovi centri per la conservazione di specie che attualmente non trovano strutture adeguate per la loro conservazione.

 

Azione 7.2.4 - Istituzione di vivai per la produzione di specie autoctone

Il governo italiano interverrà presso le autorità competenti U.E. per superare i condizionamenti finora frapposti alle legislazioni regionali per la difesa delle specie autoctone e per l'estensione delle provvidenze comunitarie previste dai regolamenti 2078/92 e 2080/92 per la realizzazione di vivai per la produzione di piante autoctone di origine certificata e controllata. Si dovrà procedere alla sollecita definizione di una legge quadro nazionale per la difesa delle specie autoctone ed arbustive, al fine di preservare il patrimonio genetico delle realtà locali e per evitare i fenomeni di inquinamento genetico attualmente in corso, anche a seguito dell'applicazione dei Regolamenti comunitari n. 2078/92 e 2078/92 effettuata in assenza di normative nazionali e regionali in materia di tutela delle specie autoctone.

 

Azione 7.2.5 - Ricerca finalizzata alla conservazione ex situ

Il rinnovamento e l'ampliamento delle collezioni non può non passare attraverso un impegno continuo di ricerca finalizzato alla messa a punto di nuove e più avanzate tecniche di conserva-zione normale e prolungata e di classificazione, anche su basi biomolecolari e genetiche, di ani-mali, piante, microrganismi e, virus, di incrocio, selezione e monitoraggio.

 

Strumenti

Dovranno essere reperiti fondi specifici del Piano Nazionale per lo studio della biodiversità, da tutti i Ministeri interessati per la Istituzione della rete informativa, per la ricerca e l'implemen-tazione di cui sopra. Le incentivazioni saranno invece oggetto di apposito bando triennale ed erogate sulla base della valutazione della Commissione interministeriale di cui sopra.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 8
Biotecnologie e sicurezza

 

Premessa

Oggi la valutazione dell'impatto ambientale delle biotecnologie in Italia rientra nel quadro della normativa europea, rappresentata essenzialmente dalle due Direttive 219/90 e 220/90 rispettivamente sull'uso confinato e il rilascio deliberato di organismi geneticamente modificati (OGM). Tali Direttive sono state recepite in Italia con i due Decreti Legislativi 91/93 e 92/93 del 3 marzo 1993. La normativa individua nel Ministero della Sanità l'autorità competente preposta al coordinamento delle procedure di autorizzazione dei rilasci. La valutazione tecnica dell'impatto ambientale degli OGM è affidata all'Istituto Superiore di Sanità, che finora ha anche effettuato le valutazioni della sicurezza d'uso degli organismi destinati ad usi alimentari. Le due Direttive sono in corso di revisione ed è quindi prevedibile una loro modificazione e quindi la modifica delle relative leggi di recepimento. Va inoltre preso in considerazione il fatto che il recepimento anche in Italia della nuova Direttiva sui brevetti avrà un effetto non indifferente sulla qualità dei prodotti che verranno immessi nel mercato italiano e quindi nel nostro ambiente. Va notato in particolare che bisognerà tenere in dovuto conto il fatto che potranno insorgere contraddizioni fra le regole del libero commercio degli organismi geneticamente modificati, codificate dalla Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) e le regolamentazioni nazionali sulla sicurezza con una possibile perdita di autonomia italiana in questo secondo campo.

 

Obiettivo 8.1 - Regolamentazione della manipolazione e dell'uso in condizioni di sicurezza di qualsiasi organismo

Dato il quadro legislativo di riferimento, esiste comunque lo spazio per le seguenti iniziative finalizzate all'articolazione specifica della regolamentazione:

  • Sottoporre le pratiche di rilascio in campo di materiale modificato geneticamente a valutazione di impatto ambientale, come già prevede il Decreto della Legge Quadro sulla VIA anche in quanto, in virtù della loro brevettabilità, gli OGM rilasciati acquisiscono la caratteristica di prodotto industriale; particolare attenzione sarà prestata al danno diretto e indiretto nei confronti della biodiversità (Valutazione di Impatto Ambientale Genetico, VIAG) (vedi anche punti 6 e 9 ).
  • Modificare di conseguenza, in accordo con gli altri Ministeri interessati, la regolamentazione e soprattutto la distribuzione di competenze nella concessione di permessi di rilascio nell'ambiente.
  • Organizzare e finanziare ricerche specifiche sul possibile effetto della immissione di OGM nell'ambiente.

 

Azione 8.1.1 - Revisione normativa VIA

La nuova Legge Quadro sulla VIA già prevede di includere nell'elenco delle Azioni/progetti da sottoporre a VIA anche il rilascio degli OGNI (organismi geneticamente modificati); è in particolare importante mettere a punto le metodologie per valutare gli effetti sulla struttura degli ecosistemi e sulla biodiversità. In questo lavoro le ANPA. e le ARPA potranno rappresentare un valido punto di riferimento.

Azione 8.1.2 - Revisione delle competenze in materia di rischio e impatto

Devono essere riviste le competenze per quanto riguarda l'attuazione in Italia delle Direttive sul rischio. In particolare, mentre la valutazione del rischio confinato (219/90) può restare competenza primaria del Ministero della Sanità con l'apporto dei Ministeri dell'Ambiente, delle Politiche Agricole e dell'Industria, l'attuazione della 220/90 e successive modifiche dovrà passare sotto la direzione primaria del Ministero dell'Ambiente con la collaborazione degli altri Ministeri predetti, in quanto responsabile della attuazione della VIA. Analogamente, dovranno essere di competenza primaria dello stesso Ministero dell'Ambiente altre Direttive collegate alla 220/90 come quella sui trasporti, che, per gli OGM, fanno riferimento alla Direttiva stessa; inoltre dovrà essere concertato con il Ministero della Sanità e con quello delle Politiche Agricole il coordinamento della prevenzione del rischio alimentare, in particolare per quanto riguarda l'individuazione di materiale geneticamente modificato negli alimenti e gli effetti provocati dalla introduzione di microrganismi geneticamente modificati nell'industria alimentare sulla riduzione della biodiversità microbica e della tipicità e qualità degli alimenti stessi (vedi punto 5).

 

Azione 8.1.3 - Divieto di rilascio

Devono essere studiate ed attuate politiche che permettano di impedire l'uso e la vendita sul territorio nazionale di OGM o loro derivati di cui sia dimostrata una azione diretta o indiretta negativa sulla biodiversità anche a prescindere dalla presenza/assenza di danni alla salute.

 

Obiettivo 8.2 - Organizzazione presso L'ANPA e le ARPA dei servizi di controllo

Vanno organizzati servizi adeguati in particolare presso le ANPA e le ARPA che permettano di individuare gli episodi di rilascio di OGM non notificati, la diffusione nell'ambiente dei geni introdotti nelle popolazioni di piante coltivate e di microrganismi del terreno agricolo ed i relativi effetti sulla biodiversità. Per questo dovrebbe essere prevista la istituzione di laboratori appositi almeno a livello regionale che agiscano di concerto con i NAS ed il servizio repressione frodi.

 

Azione 8.2.1- Progetto finalizzato

Il Ministero dell'Ambiente di concerto con il MURST e con il MIPA ed il Ministero della Sanità varerà un progetto finalizzato di ricerca sull'impatto ambientale determinato dal rilascio e dall'uso di OGM e per la istituzione di una banca dati.

 

Obiettivo 8-3 - Ricerche e istituzione di banca dati sugli effetti ambientali del rilascio di OGNI

Il Ministero dell'Ambiente, avvalendosi anche della consulenza di organismi tecnici come ANPA ed ENEA e di concerto con il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, il Ministero della Sanità e il Ministero delle Politiche Agricole darà avvio a una serie di iniziative finalizzate ad approfondire i rischi per la diversità biologica conseguenti al rilascio incidentale e deliberato nell'ambiente di organismi modificati geneticamente. Tra queste azioni vi dovranno essere: il supporto di attività di ricerca scientifica in merito all'analisi dei rischi per la diversità biologica conseguenti al rilascio di OGM; la costruzione di una banca dati sui rilasci di OGM e i loro effetti sulla diversità biologica.

 

Strumenti

Utilizzando i finanziamenti ordinari per la ricerca, predisporre un progetto di ampio respiro, finalizzato ad indagare gli effetti del rilascio di organismi modificati geneticamente sulla biodiversità animale, vegetale, microbica e sociale.

 

Obiettivo 8.4 - Istanze internazionali

Il Ministero dell'Ambiente provvederà al coordinamento anche tecnico delle delegazioni impegnate nelle diverse Commissioni non solo nazionali, ma anche internazionali in tema di sicurezza delle biotecnologie.

Per quanto riguarda l'accesso alle biotecnologie da parte dei Paesi in Via di Sviluppo e le misure per garantirne la sicurezza vedi punto 9.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Obiettivo 9
Cooperazione internazionale ed ecodiplomazia

 

Premessa

La cooperazione internazionale nell'ambito della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) investe di fatto tutti gli argomenti della Convenzione stessa ma, più in particolare, i temi della diffusione delle conoscenze e della biosicurezza per quanto riguarda il trasferimento di OGM da un Paese all'altro e, soprattutto, quello della "equa distribuzione dei benefici derivanti dalla utilizzazione del germoplasma esistente per la costituzione di nuove piante, microrganismi e animali con migliorato potenziale produttivo. Per quanto riguarda la biosicurezza e l'educazione, ambientale si rinvia ai punti 8 e 3 rispettivamente.

Qui verranno affrontati i problemi relativi ai rapporti fra Paesi e in particolare fra Nord e Sud dei pianeta per quanto riguarda la diffusione della informazione e lo scambio di germoplasma nei suoi aspetti economici e sociali. Attualmente le conoscenze più avanzate, in particolare in ambito biotecnologico, sono concentrate al Nord mentre il germoplasma viene conservato maggiormente al Sud. Questa situazione deriva dalle complessive differenze di sviluppo tecnologico fra i due poli ma anche dalle politiche agricole perseguite fino, agli inizi degli anni '90.

Fino ad una ventina di anni fa infatti il miglioramento genetico mirava all'ottenimento di genotipi capaci di utilizzare in modo ottimale la produzione l'energia e i prodotti chimici impiegati. Il tentativo era di svincolare la produzione dal contesto ambientale. Questo ha portato ad una riduzione drastica del numero di genotipi coltivati sul pianeta ed al loro adeguamento ad economie sufficientemente ricche da potersi permettere costi alti in termini di energia e di chimica.

Negli anni '90, i lati negativi di questo tipo di impostazione hanno cominciato a venire alla luce, manifestandosi attraverso il costante aumento dei costi monetari ed ambientali per unità di prodotto causato dall'aumento di input chimici ed energetici. La necessità di ridurre i costi ha indotto imprese di grande potenza economica ad investire nel campo della produzione di nuovi genotipi. Deriva anche da questo il progressivo indebolimento dei Centri deputati alla diffusione di germoplasma e di know how che avevano permesso la esportazione della rivoluzione verde nei Paesi in via di sviluppo, sempre più in difficoltà di fronte alla accelerazione impressa dalle nuove tecnologie. Da qui le forti indicazioni della C131) (artt. 15, 16, 18, 19). in favore di uno sforzo concreto dei Paesi sviluppati per una distribuzione equa dei benefici derivanti dalla utilizzazione del germoplasma rimasto e delle biotecnologie sviluppatesi, nel rispetto delle regole di biosicurezza.

E' la stessa CBD ad offrire il quadro entro cui devono operare le iniziative nazionali che tuttavia, come avviene sempre per le convenzioni internazionali, conservano un notevole livello di autonomia. Del resto, le richieste che emergono dalla Convenzione devono essere prese in considerazione tenendo contemporaneamente conto di una serie di trattati internazionali ed in particolare di quelli, a cominciare dagli accordi GATT e dalle decisioni della WTO, che determinano le regole del mercato internazionale.

Obiettivo 9.1 - Cooperazione coi PVS per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità

Questo obiettivo può essere articolato nei seguenti punti:

  • formazione di operatori della conservazione nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS);
  • varo di progetti, negli stessi Paesi, per la conservazione del germoplasma in situ ed ex situ;
  • varo di progetti su aree protette e settori collaterali come ecoturismo;
  • trasferimento del know how biotecnologico e di quello per la valutazione del rischio;
  • varo di progetti per la utilizzazione di geni utili per il miglioramento di germoplasma locale in Paesi in Via di Sviluppo;
  • verifica della qualità dei progetti, sottoponendoli a Valutazione d'Impatto Ambientale, come previsto dalla Legge 412/1991, dalla Risoluzione del Consiglio e degli Stati Membri "Assessment in Development Cooperation' del 15 luglio 1996 e dal disegno di Legge quadro sulla VIA.
  • case studies.

Tutte le iniziative previste vanno condotte nella logica di offrire nuove conoscenze e nuovi strumenti di sviluppo sostenibile da integrare (e non sostituire) con la cultura, le tradizioni, le consuetudini, e le attività dei popoli indigeni che siano rilevanti ai fini della conservazione della biodiversità sotto ogni aspetto.

La priorità verrà riservata a quei programmi che prevedano l'attuazione di progetti integrati tra l'Italia e i Paesi Terzi che interessino trasversalmente le tre Convenzioni post Unced '92: mutamento clima, lotta alla desertificazione e difesa della biodiversità.

Questi obiettivi sono perseguibili con le seguenti azioni specifiche che dovranno essere concertate con i Paesi in via di sviluppo previa interazione fra i Ministeri interessati.

Azione 9.1.1 - Istituzione di un fondo per la cooperazione nel settore biodiversità

I finanziamenti saranno erogati dal Fondo per la Cooperazione italiana allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, nella misura di una percentuale fissa delle dotazioni finanziarie sia per interventi in dono che in crediti di aiuto a cui andranno aggiunti contributi concordati fra gli Enti interessati (vedi Azione 9.1.2) e quote parte dei contributi internazionali nel campo specifico e servirà per il finanziamento di progetti di cooperazione nel campo della salvaguardia della biodiversità e della distribuzione equa dei benefici derivanti dalla sua utilizzazione.

Azione 9.1.2 - Istituzione di un Gruppo di Lavoro per la cooperazione nel settore biodiversità.

Verrà istituito un Gruppo di Lavoro del "Comitato Nazionale per la Biodiversitá" formato da rappresentanti dei Ministeri precedentemente citati nonché da rappresentanti del Ministero del Tesoro e dei Comitati di raccordo della conservazione in situ ed ex situ (vedi azioni relative a questi due capitoli) e degli Enti preposti alla conservazione ed al trasferimento della informa-zione. Fra questi ultimi vanno in particolare citati i laboratori per il germoplasma del CNR, i centri per il germoplasma del MIPA, L'Istituto Agronomico per l'Oltremare e l'ICGEB (Trieste- New Delhi) del Ministero degli Affari Esteri, i Centri Regionali per la difesa della biodiversità. Il Gruppo di lavoro avrà il compito di elaborare a scadenze da definirsi un Piano di cooperazione nel campo della biodiversità costituito da progetti proposti da enti pubblici e da privati in risposta ad apposito bando dagli Enti competenti per collaborazioni bilaterali o multilaterali con i Paesi in Via di Sviluppo. Tali progetti verranno concertati con i Paesi recet-tori dal capofila del progetto sotto la direzione del Ministero preposto (Ministero degli Affari Esteri). Il Gruppo di lavoro dovrà anche coordinare la partecipazione italiana al GEF, con il compito di stabilire i criteri di partecipazione finanziaria allo stesso GEF e di promuovere l'impiego vincolato di una quota parte del contributo italiano a progetti di iniziative regionali di prioritario interesse.

L'opera di concertazione del Gruppo di lavoro sarà essenziale per evitare la frammentazione degli interventi, la loro sovrapposizione, il collegamento della cooperazione con le azioni nazionali di salvaguardia, con la ricerca e formazione italiane, con le imprese biotecnologiche e non dei Paesi coinvolti nei progetti specifici.

Azione 9.1.3 - Formazione tecnico-scientifica in materia ambientale

La formazione sarà affidata a progetti specifici di offerta di formazione da sottoporre ai Paesi in Via di Sviluppo (PVS) facendola incontrare con la domanda di formazione proveniente da questi. La formazione potrà essere svolta mediante il finanziamento, di periodi di permanenza di tecnici dei PVS nel nostro Paese o di missioni tecniche di supporto per la attuazione di progetti concertati in loco. La formazione in Italia sarà svolta presso gli Istituti di ricerca con competenze specifiche e in particolare presso PIAO e l'ICGEB e istituzioni a questi collegate da convenzioni di progetto, i Centri Regionali per la difesa della biodiversità, presso i Parchi e le aziende che si occupano di conservazione, i centri di conservazione e le imprese. Gli ambiti della formazione saranno, da una parte, le tecniche ed i concetti della conservazione con particolare riguardo a quella in situ ed all'inserimento della conservazione nei progetti economici integrati di sviluppo, dall'altra l'informazione biotecnologica dall'isolamento dei geni, al loro trasferimento negli organismi ospite, alla valutazione dell'impatto economico ed ambientale dell'eventuale inserimento negli agroecosistemi dei Paesi di provenienza dei formandi, e l'informazione relativa alle tecnologie informative e in particolare il Clearing House Mechanism (vedi anche punti 3 e 1-2). In questa parte della formazione verrà introdotto il concetto generale della VIAG (Valutazione dell'Impatto Ambientale e Genetico) (vedi anche il punto 9.3.1 e i punti 6 e 8) e si mirerà alla formazione di personale in grado di compiere detta valutazione venendo così incontro ai dettami del Protocollo sulla Biosicurezza in corso di elaborazione nella CBD. La formazione biotecnologica, d'altra parte, sarà, come sottolineato precedentemente, parte ri-levante del contributo del nostro Paese alla equa distribuzione dei benefici derivanti dall'uso del germoplasma conservato.

Strumenti

Parte dei fondi previsti nel punto 9.1.1 saranno destinati alla formazione.

Azione 9.1.4 - Facilitazioni all'accesso ai prodotti biotecnologici ed ai geni conservati

Parte del Fondo previsto nell'azione 9. l. 1 verrà destinato a progetti di cooperazione tesi a facilitare da un lato la utilizzazione in loco e in Italia di geni provenienti dalle riserve di germoplasma, utili per lo sviluppo di una economia sostenibile agricola e non, dall'altra per una utilizzazione sostenibile di prodotti biotecnologici italiani. Lo scopo è di determinare una situazione di privilegio in termini di incentivi economici e tecnologici per i progetti di cooperazione, attenuando così le barriere determinate dalle disposizioni concernenti la protezione della innovazione biotecnologica in Europa e nelle altre parti dei Mondo, senza peraltro contravvenire alle regole della WTO. Ciò sarà reso possibile dagli incentivi economici messi a disposizione dal fondo precedentemente citato e dalla sostituzione, in parte, dei costi di acquisto dalla due parti con scambio di materiali, in condizioni di facilitazione per i PVS.

Strumenti

Regolamenti EC/3281/94 e EC/ 1256/96.

Obiettivo 9.1 - Rafforzamento della partecipazione dell'Italia ai programmi di cooperazione multilaterale

Azione 9.2.1 - Fornire Personale specializzato per il supporto al funzionamento delle strutture internazionali preposte alla cooperazione multilaterale in campo ambientale (UNEP. UNDP. WORLD BANIC- GEF, etc.)

Si intende agire sia promuovendo la formazione di giovani da impegnare nel campo della cooperazione, sia destinando personale dedicato alle strutture internazionali di cooperazione che consenta all'Italia di farsi parte attiva nella realizzazione di progetti .

Azione 9.2.2 - Promuovere la cooperazione a livello regionale per l'attivazione di misure per la conservazione della biodiversità nel Bacino del Mediterraneo.

Va realizzato un piano di intervento italiano per la forestazione mediterranea e per la realizzazione degli approvvigionamenti idrici dell'area, nel quadro del programma Euromediterraneo MEDA

Sulla base di quanto a suo tempo già coordinato dal MURST e dalla Direzione Ricerca Scientifica e Cooperazione Internazionale del MAE, l'Italia dovrebbe promuovere, nell'ambito del programma euromediterraneo MEDA, un piano di interventi coordinati con gli altri partners europei nei seguenti settori:

- Ciclo dell'acqua (sistemi di trattamento per la desalinizzazione dell'acqua di mare; tecniche di potabilizzazione delle acque; sistemi di trattamento e di riciclo delle acque reflue ed industriali, impianti di trattamento e depurazione delle acque urbane e processi industriali di trattamento e riutilizzo dei fanghi; tecniche di compostaggio per il trattamento ed il riutilizzo dei Rifiuti Solidi Urbani (RSU) utilizzo del composto prodotto al fine di contrastare i processi di desertificazione e desumidificazione dei terreni)

- Riforestazione mediterranea (tecniche di pianificazione forestale: produzione vivaistica, con l'introduzione di tecniche innovative per la produzione e protezione delle piante autoctone; trasferimento delle competenze in materia di costituzione e gestione dei Centri Regionali per la difesa della biodiversità; sistemi di protezione delle foreste da incendi e da danni di nuovo tipo; tecnologie per le prime e seconde lavorazioni; formazione professionale dei formatori e degli operatori e assistenza tecnica).

- Strategie generali per la conservazione della biodiversità, oltre quella forestale.

In questo ambito, l'Italia promuoverà un incontro con tutti i Paesi che insistono sul bacino del Mediterraneo, al fine di discutere a livello geoterritoriale sud europeo i temi specifici previsti dall'agenda per la COP-5 di Nairobi e per la definizione di una possibile strategia comune dei Paesi mediterranei da portare avanti in tutte le sedi internazionali.

Strumenti e risorse:

Utilizzazione delle risorse previste dai fondi euromediterranei e per il programma MEDA.

Obiettivo 9.3 - Adozione a livello nazionale ed internazionale di codici dì comportamento e di altre misure di protezione degli effetti negativi, ambientali e socioeconomici, delle biotecnologie

Azione 9.3.1 Promuovere la definizione di procedure per l'utilizzo in sicurezza di materiale genetico modificato nei Paesi di esportazione per l'analisi del rischio e per la valutazione degli effetti socio-economici derivanti dall'utilizzo di tale materiale.

Anzitutto i progetti di cooperazione internazionale, che verranno effettuati da Enti pubblici ed imprese dei Paesi contraenti, saranno elaborati sulla base delle regole stabilite dal protocollo sulla biosicurezza della CBD in via di approntamento.

Questi progetti saranno preceduti da una VIAG (vedi punti 6 e 8) nel Paese di destinazione e terranno conto delle regole stabilite dal protocollo sulla biosicurezza della CBD.

Inoltre verranno forniti ai PVS tutti. gli strumenti necessari perché siano in grado di utilizzare e in modo appropriato il materiale fornito, sia, come è stato detto, attraverso la formazione di personale specializzato, sia attraverso il trasferimento di protocolli, metodologie, informazioni necessarie alla valutazione degli effetti ambientali e socioeconomici dell'utilizzo di materiale modificato geneticamente.

Verrà istituito un Gruppo di Lavoro interministeriale per la Valutazione dell'Impatto Ambientale e Genetico (VIAG), composto da rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri, del Ministero dell'Ambiente e del MURST, con il compito di analizzare l'impatto ambientale e genetico delle proposte di progetto e di monitorare gli interventi in corso fornendo pareri vincolanti.

Sulla base dell'attività di questa commissione sarà possibile controllare il trasferimento di prodotti biotecnologici bloccando quelli che si configurino come lesivi degli interessi socioeconomici e ambientali dei PVS, come, per esempio, nel caso dei prodotti della Terminator Technology; infatti le piante prodotte dai semi manipolati con questa tecnologia producono a loro volta semi che si autosterilizzano per rilascio di tossine nell'embrione, impedendone la loro utilizzazione per la coltura successiva.

 

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